Stairway to heaven – Giro “romantico” sul Monte delle Scale

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-Ti porto il tè caldo.



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Avvolta nel setoso intorpidimento del sonno, in cui al passare dei secondi si insinua la tarma del sospetto, mi sento come Anna Karenina sdraiata sul letto di una camera lussuosa di San Pietroburgo in attesa del conte Vronskij e della colazione.

Il sangue blu si ricolora presto di rosso, quando Mauro mi riporta alla realtà e ai propositi del giorno:

-Beh?! Cosa fai ancora a letto? Prepariamo tutto e andiamo!

Realizzo quindi anche che Mauro ha un gran caldo, che ho bisogno di una visita dall’otorino e che la colazione non è pronta.

Inizia così la nostra conquista dei 2500 m, con vento che soffia forte da Nord e lo zero termico a quota 2000, in una “tiepida” giornata di fine Agosto. Davvero un bel caldo, mentre tiriamo fuori le bici e le mani congelano chiudendo e aprendo diaframmi nei primi scatti del mattino.

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Salgo pensando al puntino sul Monte delle Scale che la proprietaria dell’appartamento di Valdidentro descrive come una croce enorme in attesa di restauro e immaginando che tra qualche ora, contando quella che porto, le croci saranno due.

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Le rampe infatti mettono a dura prova il mio allenamento giornaliero davanti al PC aziendale, mentre Mauro, che preferisce allenarsi in MTB, divora salite sconnesse come se fossero discese asfaltate.

Trova anche il coraggio di dirmi che sto andando forte appena lo raggiungo dopo chissà quanta attesa, mentre polpacci, cosce e chiappe stanno per appiccare un incendio.

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Per fortuna qualche volta la natura mi è complice e un camoscio abbandona il sentiero con quattro balzi giù nel dirupo portando lontano, dove non sappiamo arrivare, i confini della vita.

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Mauro invano torna indietro, perché l’elegante animale è scomparso come scompare lui con me in salita e in discesa.

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Il sentiero diventa sempre più impegnativo: passaggi con le catene e bici in spalla si impongono sulle pedalate.

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Fotografa in sofferenza
Fotografa in sofferenza

E’ il prezzo da pagare per un breve viaggio nel passato, perché il trail scava un tunnel all’interno di un forte della prima guerra mondiale. Avverto un freddo diverso dal mattino, è quello degli uomini costretti ad essere qui, lontano dalla famiglia, a sopravvivere o morire nelle stagioni di un tempo senza colore.

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La luce si riaccende su uno scenario completamente diverso.

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Poco manca ormai alla vetta e al panino di grano saraceno straripante di gorgonzola che divoriamo prima di fotografarlo.

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Benvenuti in paradiso!

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Immagino Mauro in uno slancio romantico dedicarmi i paesi che sembrano essere caduti da quassù, nati dalla montagna, e la costellazione valtellinese di pizzi, punte, passi, monti, cime e piz che ci circondano, come la Cima Piazzi, l’Ortler, i ghiacciai dei Forni o quelli più lontani del Bernina.

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E invece constato che la parentesi della prima guerra mondiale non si è ancora chiusa:

-E’ tardi! Andiamo! Pochi scatti ed essenziali!

Penso che le ali di Icaro non fossero di cera (sarebbe stata una fine troppo soft) che la storia del sole è una balla e qualcuno, forse Apollo, gliele avesse tagliate con l’accetta.

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Comincia la prima discesa, meravigliosa! Immagino di sorgere dalla cima e di scendere torrenziale e curvando lungo i pendii, lambendo gli argini e rovesciando su rocce e ghiaia.

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Voglio essere acqua e sfociare in quell’acqua verde e azzurra laggiù.

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Arrivati al Lago delle Scale esprimo tutto il mio entusiasmo:

-Che discesa! E che posto! Come sono scesa?

-Pensa al dopo e a dove metti piedi e gomme se non vuoi volare di qualche centinaio di metri…

Mmh.. Parentesi prima guerra mondiale ancora aperta?

Consulto mentalmente il dizionario mauromuldoxese-cristiani per tradurre la sua risposta che potrebbe essere:

“Sei andata bene, ma ora fa’ attenzione” o “Se scendi solo per effetto della forza di gravità, ti fai male”.

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Fate voi, sicuramente capisco solo che ora il gioco si fa duro.

Si sale lungo altre rampe ammazza-tendini per fare ingresso in una gola che tanto mi ricorda una delle città invisibili di Calvino, sospesa sul nulla e destinata ad esserne inghiottita, con una differenza: qui ad essere sospeso è un buio sentiero.

Mi rendo conto che il mio moroso (così li chiamano in Valtellina) è completamente matto. Come sotto ipnosi, in sfida aperta col camoscio di stamattina, che evidentemente non gli è andato giù, non sente i miei “non te l’ha ordinato il medico!” e si lancia in nose-press e trialismi su stretti lembi franosi di ghiaia affacciati su poco rassicuranti strapiombi.

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Dopo questa folle sezione il sentiero cambia umore, si espone poco e ci riporta dolce e sinuoso al fondovalle.

Nel torpore del sole che piace tanto a me, il sole che dora ed impreziosisce ogni cosa poche ore prima di andarsene, Mauro ritiene che l’unica cosa che ci manca in questo prato è una bella birra fresca. Io invece penso che, per contrappasso, l’unica cosa che mi manca è una teiera, per portargli il tè caldo di stamattina.

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Poi chiudo gli occhi e la mente vola già al prossimo giro che abbiamo in programma e sogno un’altra giornata così.

Alessandra

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