Viaggio in bici in solitaria

  • Cannondale presenta la nuova Scalpel, la sua bici biammortizzata da cross country che adesso ha 120 millimetri di escursione anteriore e posteriore in tutte le sue versioni. Sembra che sia cambiato poco, a prima vista, ma sono i dettagli che fanno la differenza e che rendono questa Scalpel 2024 nettamente più performante del modello precedente.
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number 23

Biker superioris
21/9/04
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Lissone
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Ciao a tutti,

i giorni 3 4 5 6 agosto, meteo permettendo, ho in programma un giro in solitaria (volutamente in solitaria, è una questione di motivazione interiore) di 480 km pertendo da Lissone.
il tragitto è così strutturato, sulla carta: Primo giorno, parto e arrivo a Lecco, poi costeggio il lago fino a Colico, quindi sentiero valtellina fino a Trasenda. Da li parte la scalata fino alla Aprica, quindi proseguo fino a Edolo, e Ponte di Legno.
Il secondo giorno la Ponte di Legno parto per la scalata del Gavia, quindi punto a SantaCaterina Valfurva, Bormio. Poi affronto il passo del Foscagno e dopo aver superato Trepalle e il passo Eira, Livigno.
Il terzo giorno la Livigno parto per il Forcola, quindi punto al Bernina. Scalato il passo, mi dirigo a Sant Moritz, quindi il Maloja e Chiavenna.
Il quarto giorno da Chiavenna torno a casa, ma costeggiando il lago dal lato ovest, Menaggio, Como e quindi Erba e Lissone.

Il giro è ovviamente impegnativo, ma ho una certa esperienza di viaggi. Il problema è che sono passati 10 anni dall'ultimo (da genova all'isola d'elba) sono un po' sovrappeso (ma allenato). Comungue, spero che la motivazione e la volgia di farcela mi aiutino dove il fisico non arriverebbe.

Per dormire ho programmato soste nei campeggi di Ponte di Legno, Livigno e Chiavenna, ho una leggerissima tendina monoposto, e un caldo sacco a pelo.

avevo intenzione di portarmi anche cibi liofilizzati per alimentarmi, ma ho qualche problema con la pasta che ho provato (in sostanza, dopo averla mangiata sono andato in dissenteria...) quindi devo valutare meglio la cosa. mangiare è più che importate, FONDAMENTALE.

Mezzo per l'impresa, una Ghost SE 3000. Credo che non metterè i pedali SPD, ma pedali flat con un paio di scarpe da trekking in goretex.

ho anche acquistato un caricatore a pannelli solari, ma mi sembra non funzioni come dovrebbe. devo controllare meglio.

sono anche un po' indeciso sull'abbilgiamento. ho attrezzature da trekking, ovviamente non puoi portarti troppa roba, pesa, ma il gavia e il bernina saranno molto freddi. se poi arriverà la pioggia saranno problemi. sono cose che sto valutando. vi terrò aggiornati.
 

ligamaister

Biker marathonensis
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Prato
www.bikepacking.it
Ciao a tutti,

i giorni 3 4 5 6 agosto, meteo permettendo, ho in programma un giro in solitaria (volutamente in solitaria, è una questione di motivazione interiore) di 480 km pertendo da Lissone.
il tragitto è così strutturato, sulla carta: Primo giorno, parto e arrivo a Lecco, poi costeggio il lago fino a Colico, quindi sentiero valtellina fino a Trasenda. Da li parte la scalata fino alla Aprica, quindi proseguo fino a Edolo, e Ponte di Legno.
Il secondo giorno la Ponte di Legno parto per la scalata del Gavia, quindi punto a SantaCaterina Valfurva, Bormio. Poi affronto il passo del Foscagno e dopo aver superato Trepalle e il passo Eira, Livigno.
Il terzo giorno la Livigno parto per il Forcola, quindi punto al Bernina. Scalato il passo, mi dirigo a Sant Moritz, quindi il Maloja e Chiavenna.
Il quarto giorno da Chiavenna torno a casa, ma costeggiando il lago dal lato ovest, Menaggio, Como e quindi Erba e Lissone.

Il giro è ovviamente impegnativo, ma ho una certa esperienza di viaggi. Il problema è che sono passati 10 anni dall'ultimo (da genova all'isola d'elba) sono un po' sovrappeso (ma allenato). Comungue, spero che la motivazione e la volgia di farcela mi aiutino dove il fisico non arriverebbe.

Per dormire ho programmato soste nei campeggi di Ponte di Legno, Livigno e Chiavenna, ho una leggerissima tendina monoposto, e un caldo sacco a pelo.

avevo intenzione di portarmi anche cibi liofilizzati per alimentarmi, ma ho qualche problema con la pasta che ho provato (in sostanza, dopo averla mangiata sono andato in dissenteria...) quindi devo valutare meglio la cosa. mangiare è più che importate, FONDAMENTALE.

Mezzo per l'impresa, una Ghost SE 3000. Credo che non metterè i pedali SPD, ma pedali flat con un paio di scarpe da trekking in goretex.

ho anche acquistato un caricatore a pannelli solari, ma mi sembra non funzioni come dovrebbe. devo controllare meglio.

sono anche un po' indeciso sull'abbilgiamento. ho attrezzature da trekking, ovviamente non puoi portarti troppa roba, pesa, ma il gavia e il bernina saranno molto freddi. se poi arriverà la pioggia saranno problemi. sono cose che sto valutando. vi terrò aggiornati.

Io valuterei meglio il tipo di scarpe, se i chilometri sono molti sarebbe meglio avere i pedali spd. Ti consiglio più che un pannello solare un accumulatore da ricaricare alla corrente elettrica.

Buon viaggio!
 

Giancy

Biker novus
12/7/11
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Cesena
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Ciao caro amico
sono tornato domenica 18 agosto da una solitaria di 3098 km. Proprio da solo non ero! avevo con me bike e tenda mappa e fornellino. Sonon stato in compagnia di del sole del mare dei panorami e poi ancora dei silenzi e delle luci della notte. Con me i 1000 ciao degli sconosciuti lungo la strada, le strette di mano con chi pedalava come me per ben più lontane mete e la compagnia di chi nella sosta divideva con me un caffè 2 risate e 4 chiacchere. La bici "ne ha fatta di strada" ma anche io ho percorso ed esplorato molte distanze lungo la strada della mia anima.
Ciao
Giancy
 

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Biker superioris
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sto preparando un breve report.... intanto foto.
 

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Esperienza fantastica e decisamente motivante. Il viaggio di fatto non era nulla di straordinario, 4 giorni in solitaria, 500 km, molta montagna. Potrebbe essere molto o pochissimo se lo paragoniamo a chi si fa il giro del mondo, 3000-4000-5000 km in territori desolati. Ma ad ogni modo, credo che l’avventura sia qualunque cosa provochi forti emozioni, quindi potrebbe essere pure un pomeriggio tra gli alberi del parco di Monza, se le circostanze ti hanno portato ad essere una persona legata da mille impegni e soffocato dalle responsabilità. Assaporare la libertà, per fortuna, ha ancora un significato molto relativo ed ognuno se lo deve costruire della sua dimensione personale.
Io me lo sono costruito così. Dovevo evadere per qualche giorno da una vita che negli ultimi mesi mi ha procurato molto dolore e molta tensione. Avevo voglia di pensare, per qualche giorno, solo a me stesso, inebriandomi fino alla sazietà di una cosa che mi piace proprio fare, andare in bicicletta. Sono partito non essendo sicuro di potercela fare, poco allenamento e mille variabili, ma con molta voglia e molta eccitazione. Ho avuto qualche difficoltà, qualche breve momento di sconforto, ma tirando le somme molte soddisfazioni, molti momenti di riflessione e molti momenti di pace e serenità. La strada che ho percorso l’ho sudata, osservata, respirata, ascoltata. Insomma, è stato fantastico.
Fatta questa doverosa promessa parto con un breve racconto.

Sabato 3 Agosto. Lissone-Lecco-Colico-Morbegno-Sondrio-Tresenda-Aprica
La partenza è avvenuta alle ore 6.00. giornata molto bella e tempo promettente per i successivi giorni, bolla di calore al Nord Italia, quindi poca preoccupazione per la pioggia. Sopporto il caldo, soffro un po’ la pioggia soprattutto la soffrirei in un viaggio del genere. Quindi tutto bene.
La prima tappa prevedeva l’arrivo a Ponte di Legno. Sulla carta 180 km, calcoli poi rilevati errati. Ad ogni modo la lunghezza della tappa mi costringe ad essere rigido e calcolatore almeno fino a Sondrio. Così mi metto in marcia tenendo d’occhio la media oraria che non deve mai scendere sotto i 20km/h. Arrivare a Lecco è una attimo, ma vengo sorpreso da un forte vento mattutino e prima di entrare in città devo pedalare con aria in faccia. La situazione migliora dopo il centro e dopo le prime gallerie. La strada lungo lago offre diversi scorci interessanti, la mia pedalata è buona e un sacco di ciclisti mi fanno compagnia per brevi tratti scambiando due parole. A Colico sono fresco e pedalo molto bene. Purtroppo però l’ora si fa calda e alcuni lavori stradali rendono l’avvicinamento a Morbegno molto complicato. Il caldo viene amplificato da un traffico incredibile in corrispondenza del centro di Morbegno. Uscito dalla città sono cotto. Il contakm segna circa 100 km e mi devo fermare a mangiare e a rinfrescarmi. Trovo un oratorio con una bella fontana e una panchina all’ombra e mangio qualcosa, rinfrescandomi alla fontana. Dopo un oretta, nella quale attacco bottone con i passanti per dare un senso alla giornata, riparto. Decido di abbandonare l’idea del sentiero Valtellina. Troppe soste forzate, gincane, dentro e fuori destra e sinistra… ok, bello ma non ho voglia di pensare troppo alla strada, che conosco a memoria lungo la statale avendo da sempre una casa a Teglio. Quindi imbocco la strada principale e pedalo mantenendo i 24-25 di media. Fortunatamente nessun rischio e arrivo a Sondrio, dove mi fermo ad un bar per una cocacola e un po’ di refrigerio. Fa veramente caldo. Riparto e arrivo a Tresenda, dove mi aspetta il primo “mostro”, la salita che porta all’Aprica. Il contakm segna 140 km esatti. La salita per l’Aprica mi ammazza. La sua conformazione è crudele, 16 km, solo 3 tornati. Un rettilineo iniziale lunghissimo, macchine e moto che ti passano a fianco rombando, nessuna area di sosta, piazzola, panchina panoramica. Solo una striscia di asfalto al sole in perenne salita. Al primo tornante arrivo con molta fatica, proseguo ma a 4 km dalla fine della salita cedo. Non riesco più a pedalare. Ho dolore forte alla schiena, alle braccia, ma soprattutto alla ginocchia. Perciò.. scendo dalla bici e spingo. Ebbene si.. la vergogna di ogni ciclista. Ma la bici pesa 25 kg, i km sono già 150, comincio ad essere molto sconfortato. Con pazienza e un passo alla volta arrivo all’Aprica. Decido di fermarmi al primo campeggio che per fortuna si trova sulla strada appena usciti dal paese. Il proprietario molto gentilmente mi offre una piazzola sull’erba comoda, con un paio di chalet non occupati che mi permettono di utilizzare la loro veranda come ripiano per mangiare e stendere le cose, otre che per tenere ferma la bici per le operazioni di scarico e carico. Inoltre mi suggerisce di cenare nel ristorante del campeggio, “tutta roba loro” dice. Quindi, dopo una doccia ed essermi cambiato lascio perdere l’dea del cibo liofilizzato e mi siedo al ristorante a mangiare tagliatelle di farina di castagna al ragù di lepre e bresaola, una birretta e una torta di mele. Quindi un po’ dolorante mi dirigo alla mia tendina, entro, mi stendo.. e spengo l’interruttore del mio fisico. Dormo.
 
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Domenica 4 Agosto. Aprica-Edolo-Ponte di Legno-Gavia-Santa Caterina-Bormio-Isolaccia
La sveglia è alle 6. Naturalmente. Sto BENE. Molto Bene. Decido di alzarmi subito per verificare lo stato della mie ossa. Nessun problema. La notte è stata umida ma fortunatamente tutto era dentro la tenda e non si è bagnato. La bici è fradicia. Prendo il fornelletto e mi preparo un the caldo. Nel campeggio c’è un silenzio irreale. Mi faccio una colazione leggera con biscotti a mo’ di pappone. Quindi procedo con lo smontaggio della tenda e il riassetto della bici. Con molta calma. Alle 7e mezza circa sono pronto a ripartire, saluto i proprietari del campeggio, pago e parto deciso verso Edolo. La strada è una lunga discesa, dritta e panoramica, dove è possibile gustarsi la vista della valcamonica nel silenzio del mattino e con una arietta frizzante in faccia che ti fa formicolare di piacere. In poco tempo attraverso Edolo e punto a Ponte di Legno, affrontando da subito una bella salita. Per fortuna ieri mi sono fermato all’Aprica.. Non ce l’avrei mai fatta a fare questa salita dopo la mazzata Aprica. Oggi invece tutto va bene, la salita la affronto con il mio passo, molti ciclisti mi superano salutandomi, la strada è bella e il mio ipod in modalità random fornisce una serie di canzoni sempre più belle, sempre più significative. Una playlist così azzeccata non l’avrebbe fatta nemmeno il migliore dei dj. Con serenità e distacco dal calcolo del tempo e dello spazio arrivo a Ponte di Legno. Raggiungo il centro cittadino, mi siedo al tavolino di un bar e ordino una bella colazione all’italiana. Osservo con curiosità i passanti, moltissimi. Bella gente, molto elegante, benestante, ragazze carine, famiglie alle prese con i loro discorsi o le loro proposte. Mi godo il momento di relax come se fossi davanti alla tv. Ma la pausa finisce e davanti a me si profila la realtà della prossima sfida, la più dura, si chiama GAVIA. 2630 metri, 17 km di salita con 1.300 metri di dislivello. Non ho mai affrontato questa salita, in bici, ne in auto o moto. Decido di essere semplicemente sistematico. Una pedalata alla volta e ci arrivo. La prima parte è piuttosto agevole ma dopo circa 6 km la strada si stringe ed iniziano i dolori. La strada si impenna. Comincio a lavorare di cambio. Rampichino davanti. Meta pacco pignoni dietro. Salgo di uno. Poi un altro. Via via arrivo al penultimo rapporto. E a malincuore arriva anche l’ultimo. E dopo un po’ non riesco più a salire nemmeno con quello. Mi fermo. Dopo una breve sosta provo a ripartire. Niente. La strada mi respinge. Proseguo a singhiozzo per circa un km, poi per fortuna, dopo l’ultimo tornante la strada spiana un attimo e prosegue lungo un rettilineo lungo e suggestivo. E li si pedala. Il sole è alto ma l’aria è fresca. Dopo 15 km ecco un altro ostacolo. Galleria. Buia. Con una pendenza esagerata. Se mi fermo è pericoloso. Sono provvisto di luci, ma non mi va di fermarmi e procedere a piedi nel buio delle viscere di una montagna. Cosi proseguo spingendo la bici lungo il sentiero di roccia che costeggia la galleria esternamente. Era la vecchia strada caratterizzata ora da una lapide che ricorda un grave incidente avvenuto nella metà degli anni 50 ad una camionetta di alpini. La strada tortuosa e dissestata fece perdere il controllo al guidatore che cadde dal dirupo per una trentina di metri. Morirono una ventina di alpini. È indicato con una targhetta il punto preciso della caduta e un disegno molto realistico indica la dinamica dell’incidente. Un luogo suggestivo e inaspettato che mi ha emozionato molto. Il sentiero comunque sale ed arriva alla fine della galleria. Da li cominciano a fare capolino i laghi di montagna, il Lago Nero, il primo che incontro. Procedo lentamente per gli ultimi tornanti dove la pendenza è maledetta e dove spesso scendo a spingere. Ci sono da attraversare ancora 4 tornanti e con naso all’insù guardo con speranza il punto più lontano che riesco a scorgere, pensando con fiducia a quando sarò li. Ma li ci arrivo. Con pazienza, tempo e tanta fatica. Manca un km alla cima. Non mi sembra vero. Tra l’altro un km facile. Pedalo con rinnovata forza, mulinando veloce e appena scorgo il cartello di legno “Gavia rifugio Bonetta” esulto. Sono arrivato! Mi siedo sfinito su una panchina e assaporo il momento. Quindi decido di festeggiare con una bella fetta di torta di mele, un succo di frutta e una immancabile cocacola alla fine. Il Gavia e il Piazzale Loreto dei ciclisti. Quanti ne passano? Incalcolabile. Mentre osservo e mangio con gusto penso che la tappa odierna prevede l’arrivo a Livigno, ma capisco che è una cosa impossibile. Però ormai il mio fisico mi ha sorpreso già diverse volte, quindi non è detto che arrivato a Bormio in effetti non me la senta di affrontare i 20 km fino al Foscagno. Per saperlo devo andare, poi si vedrà. Quindi via, che mi lancio lungo la discesa che porta a Santa Caterina. Dopo circa 5-6 km di discesa ripida e complicata mi accorgo che il contakm non funziona più. Che succede? Mi fermo a controllare e scopro di aver perso il magnete sul raggio della bici. Non è un danno da poco. Calcolare le distanze in un viaggio come questo è una cosa fondamentale. La velocità, la media, i km devi sempre averle sottocchio. Devo assolutamente risolvere il problema. A Santa Caterina chiedo a due negozi di articoli sportivi, ma più che guanti, calzettoni e maglie di lana non trattano. Il Bike center è in realtà una scuola bici per infanti, ma la gentilissima ragazza mi indica un posto a Bormio dove possono aiutarmi. Il negozio di Bici di fronte alle Terme, in centro. Quindi riparto. Discesa lunga, veloce e dritta fino a Bormio, un piacere per le mie gambe trovare un po’ di riposo. A Bormio trovo subito il ciclista, il titolare canticchiando mi sostituisce il magnete e quando a finito mi saluta allegramente. Pagare? Domani, risponde.. in sostanza lavoro offerto dalla casa. Se devo dare un feedback positivo lo do a questo ciclista, che mi aiutato nel momento del bisogno. Ad ogni modo lo scherzo del magnete mi è costato un po’ di tempo e quindi arrivare a Livigno diventa da subito un’idea irrealizzabile. Il primo campeggio disponibile è a Isolaccia, altri 5 km tranquilli di mangia e bevi. Arrivo infatti al campeggio con 90 km totali (ma il gavia in mezzo!) ancora lucido, trovo subito posto tra tende di altri campeggiatori, solito lavaggio cambio e cena, questa volta dando fondo alle mie scorte alimentari. Crakers, riso, filetti di sgombro. Dopo cena una birretta al bar del campeggio e una lettura della Gazzetta abbandonata in un angolo tutta stropicciata. Quindi tenda e seconda notte di sonno. La notte e serena e non fa nemmeno freddo. Inoltre noto che c’è molta meno umidità. Decido di lasciare quindi alcune cose fuori, così da avere più spazio per dormire. Mi stendo e il mio interruttore fa ancora clik. Non ho mai fatto così in fretta ad addormentarmi…
 

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Lunedi 5 Agosto. Isolaccia-Foscagno-Livigno-Forcola-Bernina-SantMoritz-Maloja-Chiavenna
Apro gli occhi puntuale come un orologio, le 6.00. metto la testa fuori dalla tenda e il cielo già appare azzurro. Per il sole ci sarà da aspettare, dato che sono circondato da 4 lati da altissime pareti di roccia. Fa abbastanza caldo, posso uscire dalla tenda e stendermi un po’ fuori a fare stretching. Lavo le stoviglie, preparo la mia solita colazione-pappone, mi preparo con calma e alle 8 sono pronto. Purtroppo la reception del campeggio apre alle 8.30 e devo ancora pagare. Quindi mi accomodo su una sdraio e aspetto con calma osservando il sole sorgere da dietro la montagna. Relax totale, ripercorro con la mente la strada che mi aspetta. Mi sento veramente bene, carico, riposato, tonico. 8.30 saluto il campeggio e parto, subito salita. Salita facile. Si pedala a buon ritmo godendo nel vedere quanto è azzurro il cielo oggi. La cosa più interessante della salita del Foscagno è provare ad individuare i ciclisti professionisti che arrivano dal senso inverso e che sono evidentemente a Livigno per qualche stage in altura. Scorgo forse Bennati della Saxo-Tinkoof, un Lotto-Belisol, un BMC. Arrivo in cima notando che la parte finale della salita è molto bella dal punto di vista panoramico. La fregatura del Foscagno, e già lo sapevo, è che superato non è poi tutta discesa fino a Livigno. No.. arrivati a Trepalle bisogna affrontare altri 3 km fino al passo D’Eira. Tre-Palle Che-Palle.. ripeto a mo’ di mantra. Al cartello passo D’Eira tiro un bel sospirone e scendo in picchiata fino a Livigno. E’ ormai mezzogiorno. Mi fermo un chioschetto vicino al Mottolino e una carinissima ragazza mi porta un trancio di pizza bello unto e sugoso, una cocacola doppia. Godo all’idea di mangiare senza preoccupazioni di orario e racconto alla ragazza la mia avventura fino a quel momento. Dopo avermi augurato buon viaggio riparto. Il momento piacevole del pranzo lo pagherò nelle ore successive. Il tratto rettilineo che porta al passo Forcola e sferzato da un forte vento a me ovviamente contrario. Il pezzo in pianura diventa durissimo, fatico a tenere i 20 km/h, tiro giù qualche imprecazione e guardo con invida i ciclisti dall’altra parte della strada che sembrano moto tanto che filano con il vento in poppa. Fortunatamente la situazione migliora appena inizia la salita, il vento cessa, o gira, e io affronto con passo regolare i pochi km che portano al Forcola. Arrivato in cima mi fermo per una pausa, pensando al passo successivo, il Bernina. Discesa nella cosiddetta Zona franca, Dogana ed entro in territorio Svizzero. La cosa che mi lascia subito colpito è la qualità delle strade. Incredibile. L’asfalto è un biliardo. Perfetto. Non c’è una buca, una crepa, un rifiuto… una lingua nera che potresti pattinarci. Salgo verso il Bernina, osservando il maestoso ghiacciaio che si offre alla vista da ogni punto della strada. Dopo un paio di tornanti decido di fermarmi per una foto secondo me interessante. Appoggio la bici su un paletto bianco spartitraffico, mi allontano e mentre mi giro la bici cade e le borse si sganciano. Nel cadere il sacco a pelo scivola fuori e comincia a rotolare a valle. NO! Per fortuna si ferma una ventina di metri più sotto contro un cespuglietto ispido. Sospiro di sollievo. Un pastore poco più sotto sale e me lo lancia. Tutto risolto. Devo solo rimontare il bagaglio. Dopo l’inconveniente riparto e arrivo in cima al Bernina. Altro passo messo in archivio, altro trofeo virtuale.... oggi sta andando bene. Dopo una sosta al rifugio per la classica cocacola celebrativa riparto. Discesa fino a Pontresina. Ho la possibilità di osservare gli impianti di risalita che arrivano al Diavolezza, qualche sciatore che carica la macchina e la cosa fa sorridere il 5 di agosto, poi analizzo come sempre con grande ammirazione l’incredibile ordine svizzero delle piste ciclabili e dei suoi utilizzatori. Carrellini portabimbo, famigliole in fila indiana, coppiette in tandem. Dopo Pontresina affronto una salitella fino a Sant Moriz, faccio una pausa al laghetto sedendomi sull’erba e osservando senza farmi notare i gesti e le movenze di una bellissima ragazza che si rilassa leggendo un libro stesa su una coperta. Quindi si riparte. Destinazione Moloja. Anche qui il mio nemico giurato, il vento, torna alla carica. Mi faccio quasi 20 km di falsopiano controvento costeggiando i due grandi laghi. La gente con le imbarcazioni a vela si frega la mani, io invece soffro. La fatica è tanta ma non posso arrendermi dopo aver inanellato Foscagno-Forcola-Bernina. Cosi arrivo al Maloja. Pausa panoramica e giù discesa lunghissima. In un tratto posso osservare dal basso da diga che ho sempre visto dalla Val di Lei, a Madesimo. La strada passa sotto, di fronte e lo spettacolo che offre il muro di cemento e veramente emozionante. Arrivo alla dogana, rientro in Italia, ancora discesa e arrivo all’indicazione del campeggio, quello che era anche in programma secondo la mia tabella di marcia. Camping Acquafraggia. Sotto una cascata molto alta. 95% di campeggiatore tedeschi. Gentilissima la ragazza alla reception mi dice dove mettermi e noto di essere in compagnia di altri biker come me. Solito rito di smontaggio e lavaggio. La temperatura è molto calda, sono anche sceso di altitudine di molto. Mangio in una pizzeria vicino, sono molto stanco, però cosa ho fatto? 122 km e 5 passi di montagna. Posso ritenermi soddisfatto oltre ogni più rosea aspettativa. Comincia già a venirmi un po’ di malinconia perché sono praticamente sulla via del ritorno a casa. Clik… buonanotte
 

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Martedì 6 Agosto. Chiavenna-NovateMezzola-GeraLario-Cernobbio-Como-Erba-Lissone
La sveglia del mio cervello è stata prima del solito. Due fattori l’hanno infuenzata: dei ragazzi vicino a me di tenda che nel prepararsi hanno fatto una gran confusione e il caldo della tenda. Ore 5 sono fuori. Ma la giornata è stupenda, l’aria è tiepida e il rumore della cascata vicina rilassante. Decido di appisolarmi ancora un’oretta fuori dalla tenda, steso sull’erba, godendomi il momento. Oggi si torna a casa, malinconia e tristezza, mista però a soddisfazione. Preparo il solito pappone-colazione e quando ancora il campeggio dorme parto nel silenzio prima che il sole faccia capolino dalla montagna. Attraverso subito Chiavenna e mi dirigo verso il lago di Mezzola. Su segnalazione di un tizio che mi chiama da una finestra scopro che il lago di Mezzola è costeggiato da una comoda pista ciclabile che ha un doppio valore. Il primo è quello di costeggiare da vicino la sponda del lago, permettendoti di godere di ottimi panorami, il secondo è quello di farti evitare le pericolose gallerie, che odio. Così, con la molta calma che il paesaggio lariano offre percorro la pista ciclabile, qualche saliscendi, qualche punto che mi fa rallentare per goderne la vista. Superato il lago di Mezzola una strada che attraversa la riserva naturale mi conduce ad un ponticello che segna l’inizio della costa ovest del lago di Como. Di fatto la costa del lago non differisce molto da alcune località di mare del centro Italia. Stesse persone che girano in ciabatte, stessi bambini che partono da casa con il materassino gonfiabile (già gonfiato) sottobraccio, stesse signore con la borsa da spiaggia in corda intrecciata. Mi fermo ad un bar in un punto panoramico a fare una colazione italiana e a rilassarmi un po’ visto che la strada è ancora molto lunga e con molto traffico. Riparto e subito mi trovo di fronte una galleria. Come già detto odio le gallerie, mi fano paura, il rumore al loro interno è assordante, il buio mi fa sentire vulnerabile, l’aria è fredda e inquinata, devi metterti a testa bassa e pedalare forte per superarle il più velocemente possibile. Ma con mia grande sorpresa scopro che sul lato sinistro c’è un cartello indicante la pista ciclabile che ti permette di aggirare la galleria. Questa soluzione continua anche nella galleria successiva e in quella dopo ancora. Ogni galleria è costeggiata da una pista in cemento rossastro, con panchine ben dislocate in punti panoramici e all’ombra, panorama sul lago con le sue barchette a vela e gommini che lo rendono vivo, e altri ciclisti che passano salutando. L’unico inconveniente è che si trova sul lato sinistro e io sono dal lato destro della strada, quindi in prossimità dell’ingresso e dell’uscita di ogni galleria devo tagliare di netto la strada prestando attenzione alle auto che arrivano a velocità sostenuta. La strada ciclabile e non ciclabile, dentro e fuori, è un continuo saliscendi. Si attraversano piccoli centri abitati e ville ottocentesche dai colori chiari e luminosi, con bei giardini e ampie vetrate che riflettono al luce del lago. La giornata è molto calda e i km arrivano a 100. Si prosegue in questo paesaggio cominciando a sentire il richiamo di casa. Arrivato a Cernobbio mi devo fermare. Caldo assurdo, acqua che scarseggia e poche fontanelle disponibili, dolori alla schiena e alle braccia e un cedimento fisico globale. Ho bisogno di sedermi, stare al fresco, bere qualcosa che non sia acqua e soprattutto mangiare. Ma sono circa le 13 e in giro, a parte qualche bar, è tutto chiuso. La soluzione mi si presenta davanti tramite un piccolo cartello colorato: la famosissima M gialla su sfondo rosso. MACDONALD. Scopro che c’è un centro commerciale a 1 km. Ci vado precipitosamente, lascio la bici fuori ma in bella vista ed entro. Mi godo il fresco dell’aria condizionata, ordino una cocacola maxi, un paio di hamburger e acqua. Mi siedo su una poltroncina e mi riposo più che posso. Sono praticamente a Como e da questo momento il giro turistico dove poter godere di splendidi paesaggi è finito. Da adesso c’è da portare a casa la pelle. C’è da concludere, da arrivare a casa. Purtroppo però tra me e la mia casetta si interpone una maledetta salita che porta da Como ad Albavilla, dove trovo anche un sacco di lavori stradali e moltissimo traffico. Finita la salita la strada spiana e mi offre anche qualche discesa. Arrivato a Giussano decido di imboccare la triste pista ciclabile che costeggia la Valassina. Ho sempre pensato, da quando ho delineato le tappe del giro, a quanto sarei stato malinconico quando avrei percorso questa strada, brutta, sporca (un po’ meno del solito per la verità) e piena di figure sinistre. A un paio di km da casa prendo una buca e perdo una borsa dietro. Incredibile che mi debba fermare praticamente quasi arrivato per sistemare ancora la bicicletta. Comunque arrivo tranquillo a casa, davanti al mio box dove tutto è cominciato.
Tanta soddisfazione. Tanta stanchezza certo, ma la stanchezza fa parte del gioco. Anzi è probabilmente la cosa che più cercavo. C’è un passo della Sacra Bibbia che mi ricorreva in testa alla fine di ogni salita, alla fine di ogni tappa, alla fine di ogni momento duro, quando mi fermavo a riposare. Si trova nel libro di Ecclesiaste al capitolo 3 i versetti da 10 a 13. Ve lo riporto come conclusione del mio racconto. “Ho visto l’occupazione che Dio ha dato ai figli del genere umano perché vi siano occupati. Ogni cosa egli ha fatto bella a suo tempo. Anche il tempo indefinito ha posto nel loro cuore, affinché il genere umano non trovi mai l’opera che il vero Dio ha fatto dall’inizio alla fine. Ho conosciuto che per loro non c’è nulla di meglio che rallegrarsi e fare il bene durante la vita; e anche che ogni uomo mangi e in realtà beva e veda il bene per tutto il suo duro lavoro. È il dono di Dio.”
Fine.
 
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