L’enduro non parla italiano

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Come ben saprete, ieri si è conclusa la stagione 2015 delle Enduro World Series a Finale Ligure. Solita grande festa ben riuscita, facce stanche ma soddisfatte, e adesso tutti nella cosiddetta “off season” che ha il vizio di durare piú a lungo della “season”, per cui mi chiedo come ci si senta ad avere 6 mesi di ferie all’anno o, nel caso dei rider UCI, quasi 9. Ok, ci sono gli allenamenti, orsù. Chissá come faranno ad allenarsi quelli del Moto GP che corrono quasi tutto l’anno, o gli stradisti.



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Qualche faccia meno contenta c’è però stata, e riguarda, purtroppo, la frazione italiana dei “top rider”. Non vedere neanche un tricolore nei primi trenta, nell’unica gara “in casa”, fa impressione. Purtroppo Alex Lupato si è infortunato alla spalla una settimana fa, e gli auguriamo di potersi riprendere bene nei mesi invernali. Marco Milivinti tornava alle gare dopo mesi e mesi fra gessi, stampelle, medici e imprecazioni varie. E il resto? Nada, nisba, niente. Cioè non abbiamo proprio velleità da top 30 nelle EWS, se togliamo i due rider appena citati. Lascio perdere chi viene da San Marino perché già mi vedo i commenti, e comunque Casadei è arrivato 58°, dietro anche a Mathias Flückinger. Il nome vi dice qualcosa? Il rider svizzero è al sesto posto della classifica mondiale UCI XC.

Ma lasciamo perdere i top rider. Date bene un’occhiata alla classifica assoluta. Qui si vedono le bandierine delle nazioni facilmente. Su 362 finisher gli italiani sono molto pochi. Ripeto, considerate che si giocava in casa, e considerate che, fino alla prima EWS a Finale Ligure del 2013, la porzione di rider italiani era enorme in paragone al resto. Ora sono praticamente spariti tutti. Cosa è successo? Queste le mie idee:

  1. Senza un circuito nazionale come il Superenduro l’interesse per le gare enduro è calato. Vero, esistono i circuiti regionali che hanno frantumato la scena, ma allora perchè si vedono pochi biker a quello che è l’appuntamento più importante dell’anno in Italia?
  2. Dopo il grave incidente a Sandrone, proprio durante l’EWS del 2013 a Finale, tanti hanno preso le distanze dalle competizioni enduro per il timore di farsi male e/o di non essere sufficientemente preparati tecnicamente. I successivi incidenti a Barel e ad altri top rider, compreso quello mortale a Crested Butte, pesano su chi vuole arrivare a casa sano e andare al lavoro il lunedì.
  3. C’è veramente tutta questa voglia di fare gare? Secondo me no. Chi si compra la bici da enduro è più per l’aspetto ludico/escursionistico della bici. Preferisce girare con gli amici che allenarsi,  andare a provare e riprovare dei sentieri che, con il passaggio di tanti rider, diventano dei solchi da DH e fare trasferte di 2/3 giorni per arrivare merdesimo.

C’è una soluzione? La vedo molto dura. Gira voce che nel 2016 torni un circuito nazionale enduro, con 4 gare in totale, ma l’entusiamo iniziale si é frantumato del tutto a gennaio 2015, quando dopo un tira e molla infinito il Superenduro ha dato picche a rider, sponsor ed appassionati. Siamo rimasti con una specie di campionato FCI, senza comunicazione, con gare in parte organizzate male, partecipanti in netto calo. E dall’altra parte un’EWS in cui l’Italia non conta niente. Un rider nei top ten basterebbe per riaccendere l’interesse, ma non si può puntare solo al “campione”, e dietro avere il nulla.

Paghiamo il prezzo di decenni di disinteresse totale per le discipline gravity. Barel, Vouilloz, Graves, vengono tutti dalla DH o 4X, dove l’Italia è stata uno zero per tantissimo tempo. Ora, con Roberto Vernassa e la nuove leve, si cominciano a vedere i frutti nella DH, ma dovremo aspettare altri 10 anni prima che questi “vadano in pensione” e si endurizzino. Già, perchè potete dire quello che volete, ma l’enduro si vince in discesa, e la gamba da sola non può fare la differenza. Il fatto che ieri sul podio ci fossero tre campioni del mondo plurimi di DH e di 4X la dice lunga su quello che è l’enduro, e forse il motivo per cui tanti appassionati italiani gli abbiano girato le spalle.

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