Davide Dolfin: la storia del primo rider che ha saltato sul Giro d’Italia

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Quella che vi raccontiamo in questo articolo è la storia di Davide “Die” Dolfin, ex atleta della nazionale di DH e di 4X, BMXer, freerider… un vero rider a 360°. Tra i suoi sogni di adolescente c’era quello di emulare Dave Watson nel suo celebre road gap durante il passaggio del Tour de France del 2003. Di seguito Die ci racconta di sé e della sua storia di rider, ci spiega come è nato questo sogno e come si è sviluppato fino a diventare realtà, durante l’edizione 2021 del Giro d’Italia.

Capitolo 1: Premessa



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“WOW, questo salto è incredibile!!! qualcuno dovrà pur farlo di nuovo prima o poi! Per forza, non è possibile che non ci abbia ancora pensato qualcuno. Se l’hanno fatto al Tour de France…” Questo “qualcuno” però, all’epoca era un ragazzino italiano di 13 anni che sognava quel salto ogni notte chiudendo gli occhi dopo aver fissato per l’ennesima volta il poster Kona raffigurante il leggendario Dave Watson che saltava gli atleti del Tour de France.

Quel poster: quell’immagine, quella foto sequenza è stata nella mia mente di teenager una scossa incredibile. All’epoca stavo effettuando la transizione più bella della mia vita, quella che mi ha fatto abbandonare il calcio come sport principale per buttarmi in sport quali skateboard, bmx e freeride (seppur embrionale) in mtb. Quel poster era esattamente la contrapposizione della mia vita a quel punto: da un lato, lo sport come lo hai sempre visto, inglobato in regole precise, dove gli allenatori guidano gli atleti in un percorso stabilito per raggiungere il successo e dall’altro l’esatto opposto, un atto di ribellione a qualsiasi regola, non solo a quelle che legavano il ciclismo, ma in assoluto. Un’idea, un piano, un atto di coraggio, senza la certezza di successo. Ed era esattamente ciò di cui avevo bisogno in quel momento, una ribellione dal solito sport che stai facendo “perché lo fanno i tuoi amici di scuola”, quello per cui una volta che la mamma ti porta al campo sportivo, poi ci pensano gli altri a dirti quello che devi fare, dopo aver indossato la divisa.

No, non volevo più stare alle regole di allenatori di cui dubitavo pure le capacità tecniche di ciò che mi insegnavano, non volevo stare in un ambiente dove la partita – di calcio – della domenica mattina era un ritrovo dove poter assistere ai litigi dei vari genitori sugli spalti nel decidere di chi fosse il figlio che diventerà il futuro “Ronaldo”, quando in fondo noi ragazzini volevamo solo giocare a calcio e divertirci.

Da quel punto della mia vita, di cambiamenti ne sono successi, e tra il 2006 e il 2008 sono passato dal ricevere la mia prima bici da DH (una Kona Stuff, che effettivamente era una hardtail da dirt jump, ma per me era un lusso rispetto alle bici dei miei amici) alla partecipazione al campionato europeo di downhill con la Nazionale italiana. In questo periodo di duro lavoro ho capito che comunque le gare erano uno step necessario per poter migliorare le mie skills in bici, anche se ho sempre sofferto l’imposizione di molte regole della FCI (Federazione Ciclistica Italiana) che spesso non contribuiscono alla crescita dello sport ma alla penalizzazione degli atleti, che trovo tutt’ora molto ingiusto, così come quelle di alcuni team manager e sponsor, per non parlare della disorganizzazione e della poca competenza del team della squadra nazionale gravity, che mi ha fatto arrivare a rinunciare per principio ad una convocazione al mondiale di 4X qualche anno fa.

D’altro canto, la bmx è sempre stata la mia via valvola di sfogo quando raggiungevo troppa pressione dal mondo delle gare: la libertà di poter interpretare la mia passione per la bici esattamente come piace a me, con i miei amici, senza un giudice o una regola già scritta, pura immaginazione e determinazione.

Capitolo 2: La maturazione del sogno

Con il passare degli anni, la mia indole di “spirito libero” mi ha sempre fatto ammirare una serie di esempi, che siano essi parte del mondo degli sport, della musica o in generale della vita di tutti i giorni, di persone che avevano il coraggio di compiere azioni oltre quello che viene definito “limite”. E, in particolare, ho sempre detestato tutti coloro che bloccano la creatività: non dirmi che non posso farlo! “Ma no dai, ma non puoi farlo…” oppure “è troppo pericoloso” o ancora “non ne vale la pena, dai” o peggio “chissà cosa pensano gli altri” o ancora “ne pagherai le conseguenze, non provarci”. Potrei andare avanti a citarne molte altre, ma avete capito: più mi venivano dette queste cose, più nella mia mente si traducevano nell’esatto opposto.

Tuttavia, senza saperlo, tutte queste persone che non hanno creduto nelle mie capacità, o che magari a loro discolpa mi piace pensare che rapportavano le mie idee o i miei obiettivi secondo il loro punto di vista personale senza immedesimarsi in me e senza capire effettivamente quanto per me erano importanti e vicini alla fattibilità, hanno comunque contribuito positivamente a creare il mio carattere e la mia determinazione. E in tutto ciò, con il lento miglioramento delle mie skills in bici e con il rafforzamento del mio carattere, il mio sogno continuava a farsi sempre più reale.

Capitolo 3: La scintilla

È il 2020, e per me è un anno di riflessioni: è l’anno dei miei trenta, sono reduce da una brutta caduta al JBC 4X REVELATION 2019 che ha compromesso la mia spalla lasciandomi il 20% di invalidità permanente sull’uso del braccio sinistro e ho una gran voglia di recuperare e mettermi in gioco di nuovo, ma il virus Covid-19 ha altri piani. La mancanza di libertà, l’incertezza della salute personale e la perdita di persone a me vicine, i lockdown e la paura annientano la mia possibilità di riding, ma in questo stato di depressione e solitudine posso riflettere sul mio passato e sui miei piani futuri. In un giorno qualunque, sfogliando i ricordi mi salta in mente quel poster: è chiaro, quel momento deve arrivare, e quella persona devo essere io. Ora ho il tempo di pensare il come e il dove, ma voglio che sia una cosa tutta mia, deve essere il Giro d’Italia, saltato da un italiano.

Capitolo 4: La materializzazione del sogno

Quell’anno, dopo innumerevoli ore passate su Google Maps in street view facendo scorrere per filo e per segno quasi tutte le tappe del Giro d’Italia apprendo che verrà cancellato. Che fatica, buttata. Tuttavia verso la fine dell’anno il Giro viene riproposto, ma le restrizioni dettate dal governo in merito al Covid sono severe in Italia, e non sottovalutando il rischio decido di aspettare la pubblicazione delle nuove tappe per il 2021. Bingo! Succede che per casualità o fortuna una tappa passerà da Madesimo, località montana non tropo distante da casa mia, esattamente il 29 maggio 2021. Riparte la ricerca dello spot: oramai è una missione.

Dopo mesi di ricerche e approfondimenti, ecco lo spot: l’unico punto in ben 164 Km di tappa è all’inizio dell’ultimo Km, sulla strada che collega il centro di Madesimo a Motta bassa dove ci sarà l’arrivo, e tanto per essere chiari era tutto tranne che perfetto. L’unica cosa che si poteva intuire era una lieve pendenza a lato della strada che poteva essere usata come landing, un bosco di mirtilli completamente ricoperto di neve come rincorsa, un gap decisamente lungo e nessuna roccia o muro che potesse essere utilizzato come drop. E avevo una settimana dalla data della gara per trasformarlo in un salto.

Il tempo per fare queste cose non è mai abbastanza, ma avendo preso una settimana di ferie dal lavoro ho potuto concentrarmi al 100% sul progettare e realizzare lo spot nei migliori dei modi possibili, con i mezzi che avevo a disposizione: i miei soldi, le mie mani e il mio tempo libero. Un estenuante lavoro in solitaria dal mattino presto alla sera tardi, sommato a tratti al contributo di un paio di amici di cui sono grato, ha permesso di finire con non poche difficoltà i lavori il giorno prima della tappa, con la costante paura di essere fermato dalla polizia o dagli organizzatori e senza ancora aver provato a saltare fino all’ultimo giorno.

Capitolo 5: Tutto per un istante che durerà per sempre

Ci siamo: sono le 6 del mattino di sabato 29 giugno, la luce di un timido sole inizia ad infiltrarsi tra le piante nel bosco dove si trova lo spot e io insieme ad un amico fotografo siamo pronti a provare per la prima volta il salto. Non si può sbagliare un salto del genere e lo so bene, dunque testo la rincorsa un paio di volte, mi convinco che i miei calcoli mentali sulla velocità sono corretti e si salta. Non riesco a descrivere a parole cosa si prova a chiudere per la prima volta un salto che è stato creato da me stesso, ma è una sensazione stupenda, è la prova della massima autostima che ho nelle mie capacità, la conferma che so quello che sto facendo nel più piccolo dettaglio.

Ci siamo, tutto è pronto: salgo verso lo spot insieme ad una strettissima cerchia di amici, quelli che hanno avuto la possibilità di esserci e quelli che hanno appoggiato la mia idea senza dubitare delle mie capacità, ma soprattutto coloro che hanno reso possibile il mio sogno aiutandomi concretamente: da solo non ce l’avrei mai fatta. Sono attimi di ansia, rimaniamo nel pubblico a goderci l’attesa e poi concentrazione massima. I fotografi sono ai loro posti, io sono in partenza sulla costa della pista da sci al telefono con il ragazzo che dovrà dirmi quando partire mentre un paio di amici mi controllano che non ci siano pedoni su roll in e landing.

L’attesa è decisamente snervante, ma grazie agli anni passati ai cancelletti di partenza delle gare di 4X e DH mi trovo relativamente a mio agio, mentre il mio amico che dovrà darmi il via è percettibilmente stressato nell’attesa dell’arrivo del “gruppone” di ciclisti, ma… il gruppone non arriverà mai. Ebbene sì, ci accorgiamo – nella nostra inesperienza nel mondo del ciclismo su strada – che all’ultimo chilometro di una tappa di montagna, (tra l’altro la penultima del giro e dunque tra quelle decisive), il gruppo si è sparpagliato in tanti piccoli gruppetti di pochi ciclisti anticipati e posticipati da una carrellata di macchine e moto di staff, polizia e teams: questa situazione è decisamente un incubo, in quanto un piccolo errore di sincronismo tra la mia partenza e l’arrivo dei ciclisti potrebbe far sì che salti quando sotto di me passa una moto o ancor peggio un’ammiraglia con tanto di bici sul tetto che potrei colpire quando sono in aria. Saggiamente il mio amico opta per una scelta sicura (anche se lascerà un po’ di amaro in bocca) prevedendo che non ci siano ostacoli sotto di me al momento del salto e con voce tremante dice: VIA! Riponendo fiducia cieca in lui, metto in tasca il telefono, faccio un respiro profondo e parto: è il mio momento.

9 secondi di rincorsa, 1 secondo in aria, 7 secondi per fermarmi: ho trovato “la mia velocità perfetta”, questo è quello per cui vivo.

Questo mio intimo ed importante risultato è dedicato al mio amico e supereroe Walter Belli.

 

Commenti

  1. Cavoli. Grande per ideazione, costruzione e realizzazione.
    Peccato sotto non ci fosse il gruppone ma location bella.
  2. die.davide:

    Ciao Simo! Grazie mille! salutami tutti in famiglia, spero proceda tutto bene!!
    Tutto più che bene, spero lo stesso per voi!
    Un saluto anche a Stefano!
    Ciao ciao e complimenti ancora.
  3. yayayaya:

    bravo, ma l'avrai ammazzato l'amico?
    Ahah no, anzi… sono assolutamente felice e grato di aver potuto contare su una persona che ha guardato prima alla mia salvaguardia piuttosto che scegliere il momento più “spettacolare”. Siamo in un momento storico in cui tutte le foto, video, notizie si basano sull’effetto “wow”, ma a me non interessa, l’obiettivo era quello di costruire e riuscire nell’impresa, non quello di produrre lo scatto perfetto per stupire la gente o pendere likes sui social (che non ho). Questo “errore” ha reso ancora più reale l’esperienza: la realtà non è perfetta, come quella foto.
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