[Bolivia Report] Camino del Choro

[VIDEO=896]Bolivia | Camino del Choro[/VIDEO]

78 km per 3500 metri di dislivello in discesa: questi i numeri del sentiero Inca Camino del Choro, che parte a quota 4800 metri poco al di sopra del Passo La Cumbre e arriva a Chairo (1300m). Iniziamo la lunga cavalcata alle 7 di mattina, con un vento freddo che ci toglie definitivamente dalle braccia di Morfeo. Quassù c’è poco ossigeno e di notte i pochi ruscelli che attraversano l’impressionante strada Inca sono ancora ghiacciati e cominciano a sciogliersi solo con l’arrivo del sole.



.

Si tratta di una vera e propria strada quella che stiamo percorrendo, molto ben conservata. Qui in alto, dove la vegetazione è scarna, si può vedere il lavoro degli Inca in tutta la sua magnificenza: sia la terrazza stradale che i ciottolato sono stati costruiti con i sassi che si trovavano sul posto, con una cura e tecnica impensabili ai giorni nostri, dove le strade montane spesso e volentieri vengono scavate nella montagna senza tanti complimenti.

Arrivati nel fondovalle che seguiremo per chilometri si notano i resti di case Inca, resti che poi diventano abitazioni usate ancora adesso dai pochi pastori che ci salutano quando ci vedono passare. Pur essendo un sentiero segnalato anche nel Lonely Planet, si vedono pochissimi turisti qui, come leggiamo anche dal registro che dobbiamo compilare presso due checkpoint: in questo momento,a parte noi, ci sono due francesi a piedi in giro, con due giorni di vantaggio su di noi. I 78 km vengono infatti percorsi normalmente in 3 giorni, con due pernottamenti in tenda presso alcuni accampamenti decisamente idilliaci.
In bici siamo veloci e nel giro di poche ore arrivamo al nostro campo, dove ci aspettano i portatori che Alistair ha organizzato con cibo, bevande e tende. Siamo arrivati a quota 2000m lasciando quindi le alte quote ed inoltrandoci in una fittissima foresta pluviale, dove la strada Inca deve essere difesa dall’abbondante vegetazione a colpi di machete da parte dei signori dei checkpoint a cui viene lasciato un obolo per il bel lavoro di pulizia. Nella giungla la strada si è ridotta a sentiero e nei punti in cui il sole non batte il fondo è bagnato e scivoloso: tutti facciamo almeno un volo dalla bici oggi, Jerome e Renè compresi.

Quando cala la sera, verso le 20, andiamo a dormire prima di carosello. Non c’è molto da fare qui e dobbiamo ricaricare le batterie in vista della giornata successiva. Altri 30 km di sentiero ci attendono, con continui saliscendi e temperature sempre più tropicali. In discesa il trail è una vera goduria, fluido e divertente. In salita si riesce spesso a pedalare, tranne in alcuni punti come la “scala del diavolo”, il cui nome dice tutto: 45 minuti passati a portare e a spingere la bici su gradoni impietosi. Mentre il sudore scende sempre più copioso dalle nostre fronti arriviamo in cima all’ultima salita, presso alcune case situate in posizione spettacolare: da qui si vede una gran parte del sentiero che abbiamo percorso oggi. La sua linea è ben visibile sulle enormi pendici dei monti che ci circondano, completamente ricoperti dalla fitta giungla. Solo in alcuni punti questa lascia spazio ad improbabili e ripide radure in cui si coltiva la coca.

In una delle case vive Tamiji Hanamura, un giapponese di 79 anni che non si è più mosso da qui dal 1966. Ci fa firmare il suo libro degli ospiti, poi si siede per terra accanto a noi e, leggendo i nostri paesi di provenienza, ci fa fare una croce su delle cartine disegnate da lui (nazione per nazione) e comincia a farci una lezione di geografia impressionante. Conosce i nomi delle regioni italiane e non solo, le altitudini dei monti più importanti, i nomi dei laghi, tutto quello che ha sentito dai turisti passati di qui negli ultimi 45 anni. Quando gli dico che ora esiste una nuova galleria sotto il Gottardo, la più lunga del mondo, me la fa disegnare. Gli chiediamo se conosce Shimano, dice di no e comincia a scrivere il nome in caratteri giapponesi nella cartina del Giappone. È come una spugna, tenta di raccogliere il maggior numero di nozioni possibili. Ci dice anche che il primo mountain biker a passare di qui fu un tedesco, 20 anni fa.

Ci congediamo da lui e attacchiamo l’ultima parte di discesa: 700 metri di dislivello da urlo, superfluidi e con alcuni tornanti da fare a manetta. Fa un caldo bestiale ormai, arriviamo nel paesino di Chairo dove ci attende Herman, il nostro autista superaffidabile, con alcune birre fresche con cui celebriamo la fine di questa bella avventura.

Stamattina abbiamo fatto una bella carrucola (Ziplinebolivia.com) sopra la valle in cui termina la Death Road: 3 tratte da circa 500 metri l’una in cui si possono raggiungere velocità di 80 km orari: un po’ di relax dopo quasi 2 settimane di bici.
Come potete notare in questo report ci sono meno foto, dato che ci siamo concentrati sul video.
Ora siamo a La Paz, dove stiamo facendo del sano ed economico shopping di maglioni, cappelli e coperte per le famiglie rimaste a casa. Domani partiamo tutti in direzione Europa. Una volta arrivato a casa comincerò a montare i video di queste due splendide settimane in Bolivia, quindi rimanete sintonizzati per rivivere questa esperienza con noi.

Ciao
Marco
PS: per leggere le puntate precedenti del viaggio cliccate qui

Al lavoro per il video. Foto di Alistair Matthew
Storia precedente

24H di Milano, le news

Storia successiva

Out of bounds festival 2011: un must per gli appassionati di musica e bici

Gli ultimi articoli in Photostory

Sirene e Ciclopi

[ad3] Immagino che Ulisse sia stato colpito da qualche crepacuore nei lunghi anni di peripezie per…

Ritaglio di Sardegna

Settembre, mese perfetto per andare sull'isola dell'Ichnusa: finita la stagione turistica, Bikerdipezza e Muldox visitano gli…