E la meta era lì..

Io la meta l’avevo scelta, ed anche come arrivarci, poi è arrivato il marco10 che avendo l’ambizione di diventare “biker radunensis”, si è autoproclamato driver della spedizione immedesimandosi in toto nella parte. Secondo lui c’erano tre possibilità per arrivarci: una, due e tre. Nessuno ha osato contraddirlo, non sia mai che una volta “radunensis” ci cancellasse poi dalle sue amicizie, ed abbiam fatto la versione da lui scelta, la quarta !

Caricate bici e relativi biker (5) su di un furgone scippato ad un’impresa di magut che stavano imboccando l’A4 direzione Milano, partiamo per la val Venosta quando il sole ancora non è sole e la luna ancora è luna. Caffè d’ordinanza e riempimento del serbatoio visto che quei pidocchiosi di magut l’avevano svuotato. Nel we dello sconto sui carburanti riusciamo a beccare l’unico distributore in Italia che non li applica così facciamo subito brillare la gold kard del magibest. Non ne sono sicuro perché dormivo, mi pare però che, nel percorrere la valle, d’avere oltrepassato la meta senza che i miei compagni di viaggio si degnassero d’avvisarmi. Sta di fatto che al mio risveglio mi ritrovo con il culo sulla remedy, con uno zaino di sette kili sulle spalle e in compagnia di quattro rimbambiti che son rimasti all’età prescolastica !



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Ci chiediamo come mai continuino a lavare le mele ancor prima che esse maturino e come facciano a mettere il bollino della coccinella. Tre sono le tesi: la 1^, sostenuta dal marco10, dice che i pommi crescano sulle piante già marchiati, la 2^, sostenuta dal mario, dice che usino una mitragliatrice a canne multiple per marchiarle (a sostegno di questa tesi il fatto che non tutte le mele abbiano il bollino, ciò è dovuto alla scarsa mira del marchiatore), la 3^, sostenuta da me e che si basa sui dati relativi alla scarsa disoccupazione in zona, è quella che usino il metodo “sputo ed incollo”, ovvero, sputacchio sulla parte bianca dell’etichetta e poi via sulla mela. Con questo forte dubbio e dopo aver lasciato il furgone dei magut a Tubre, iniziamo la nostra avventura pedalando verso Malles dopo aver oltrepassato Glorenza sede della famosa battaglia (chi ha combattuto e perché l’ha fatto però non lo sappiamo). Subito capiamo come mai marco10 (driver del tour), pur avendo una forte raccomandazione, non riuscirà mai e poi mai a beccarsi il titolo di radunensis: ha lasciato le cartine topografiche in auto !!

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Fortuna vuole che il magibest abbia caricato le tracce sul suo gps e, anche se son quelle dell’Abruzzo, la cosa ci rincuora. Iniziamo a salire lungo una strada asfaltata bella ripida in direzione del rif. Sesvenna, giunti ad un paesino di cui non ricordo il nome troviamo un posto di blocco che impedisce il passaggio ai biker per motivi che ancor adesso rimangono a noi sconosciuti. Cerchiamo spiegazioni sul perché di questo divieto ma non ne riceviamo, marco10 inizia (come suo solito) a sclerare, il Malve cerca di corrompere le forze dell’ordine promettendogli un bancale di piastrelle Cinesi perlopiù fallate, io tento di forzare il blocco ma vengo immediatamente respinto e con la forza (insieme agli altri) vengo caricato sulla seggiovia che porta ad un rifugio di cui non ricordo il nome. Temendo da parte nostra gesti inconsulti, abbassano, e la piombano, la sbarra della seggiovia evitando così una possibile nostra fuga.
Arriviamo al rifugio di cui non ricordo il nome e dopo aver reintegrato le energie fin lì spese con della birra e poi ancora birra, ma tanta birra e con piatti tipicamente locali (cotoletta alla milanese per il Malve e risotto alla marinara per il sottoscritto) risaliamo in sella e c’avviamo verso il rif Sesvenna.

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Il sentiero è vietato alle bici ma a noi ce ne frega una beata mynchia (non è che possiamo dar retta a tutti i cartelli che troviamo lungo il nostro peregrinare) ! Fatti un centinaio di metri incontriamo dei SATtini in trasferta che, armati di righello e compasso, stanno misurando la larghezza del sentiero e l’angolo di curvatura dei tornanti. Ci bloccano (a ridaglie !) impedendoci di proseguire e ci spiegano che da lì in bicicletta non si può passare. Iniziano a pruderci le mani, onde evitare spiacevoli conseguenze questa volta lasciamo parlare il mario che in quel momento pare essere il più ragionevole. Quattro frasi intercalate da 12 “capitooooooooo ?” e ci scambiano per bikers provenienti dai Balcani, non a conoscenza quindi delle regole locali, e ci lasciano passare senza troppe menate e, anzi, ci regalano l’iscrizione alla SAT sino al 2025 e c’invitano a tornare (senza bici però) in Italia al più presto.

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Passato il Sesvenna risaliamo per parecchi Km una valle dal nome impronunciabile ed irricordabile. La stanchezza incomincia a farsi sentire, le prime rughe iniziano a comparire sui nostri volti, fatichiamo a respirare e a tenere gli occhi aperti. Per paura che il sonno prenda il sopravvento su di noi rischiando poi di morire assiderati anche se ci sono 27°, ci prendiamo a sberle tenendoci così svegli. Passato questo pericolo e con il buio sempre più incalzante proseguiamo addentrandoci sempre di più nella valle irricordabile. Ora il sentiero si fa più irto con pendenze che sfiorano il cappottamento, il magibest non riesce a pedalare (quel pirla ha lasciato a casa i pedali) e si carica la bici in spalla. Per spirito di gruppo facciamo altrettanto e così fanno (per spirito di corpo) altri biker che ci seguono; tutti spiritati arriviamo in cima. Raggiunta la quota più alta della giornata siamo tutti contenti e soddisfatti; gli yeahhhhhhhh, dammi il 5, ti stimo fratello (lo dice anche chi è figlio unico) si sprecano. Ci abbracciamo ci stringiamo le mani e la cintura, ci baciamo (coming out). Questa allegria e questo spirito di fratellanza mi gasano e penso: ”siamo giunti alla meta !”. Sto paio di cabasisi, peggior illusione mai provai in vita mia. Ci guardiamo in giro, posto veramente magnifico con un panorama da urlo. Non conoscendo la zona non riusciamo però a dare un nome alle cime che ci circondano. In nostro aiuto viene il magibest che ha caricato sul suo cellulare un “app” scaricata dal sito www.APPpumarollaincoppa.nap che dà un nome alle montagne che ci stanno attorno. Riusciamo così a identificare il Vesuvio, Posillipo e i faraglioni di Capri. Vero è che la tecnologia ha fatto passi da gigante, ma noi i faraglioni li ricordiamo con il mare ai loro piedi. A fronte di questa nostra osservazione il magibest ci manda a cagare dicendoci che non capiamo un cazzo di tecnologia e di fidarci degli strumenti di nuova generazione.

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Tutte le montagne di ogni parte del mondo hanno un sentiero che si chiama “dei contrabbandieri”, ovviamente non poteva mancare qui in val d’Uina; cosa contrabbandassero non si sa, qualcuno sostiene l’acqua minerale altri il cioccolato e chi le banalissime sigarette. Sta di fatto che questo sentiero è scavato nella roccia ed è bello esposto, per tratti molto lunghi è come se si sviluppasse nel nulla, sotto di noi (non esagero) 700-800-1300mt, a volte anche di più, di vuoto !!

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Nonostante la nostra bravura (perché siamo dei bikers veramente bravi, non dimentichiamolo) bisogna prestare molta attenzione. Malve mi precede ed a un certo punto estrae dalla tasca dei pantaloncini le ciuinghe per mangiarne una ma il pacchetto gli scivola dalle mani tremolanti (per la paura) e cade, il pacchetto, nel burrone ! Disperato si mette a piangere, cerchiamo di rincuorarlo dicendogli che è un banalissimo pacchetto di gomme americane (ndr: pure di sottomarca). Lui sostiene che non sono americane perché le ha comprate a Ranica (il paesello suo) e perdipiù sono un regalo della sua bambina ventiquattrenne. Ci tiene tantissimo, non c’è modo di farlo ragionare, si vuole calare nel burrone e recuperarle ! Lo assecondiamo e ci caliamo in corda doppia dentro il precipizio.
ecco il Malve sorridente dopo aver recuperato il suo “trofeo”
ps: la bici non s’è fidato a lasciarla sul sentiero incostudita

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Recuperato quanto perso, proseguiamo nella nostra discesa.

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La valle ora si fa più ridente, i prati sono ampi, verdi e lussureggianti, incontriamo tutta sorridente (mi ricordo che era triste in città) Heidi, i monti ci sorridono e le caprette ci fanno aufidersen (un paio di esse “ciao”, devono essere figlie di immigrati di 1^ generazione). Tutto è ben curato e segnalato (pare di essere in Svizzera), incontriamo alcuni viandanti che rimangono estasiati delle nostre bici e ammirati delle nostre gesta, ripetono in continuazione: mitiken, mitiken ! Coinvolti da questa cordialità ci fermiamo volentieri anche a fare due chiacchiere con una famigliola teutonica e notiamo con estremo stupore che il bambinetto di 3 anni già sa parlare il tedesco !

Durante la discesa il magibest con una scoreggia fotonica distrugge la sella, arrivati in fondo alla valle dobbiamo attivarci per trovare un negozio dove poter acquistarne, insieme ai pedali, una.
Malve, convinto che per parlare il tedesco basti mettere la EN finale ad ogni parola (un po’ come lo Spagnolo, dice sempre lui, che si mette la S) si prodiga nel richiedere informazioni su dove trovare un mecanEN di biciclettEN.

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Sistemati i guai meccanici, cerchiamo l’alloggio dove poter far riposare le nostre membra. Vista la stanchezza che mi ritrovo addosso penso di essere arrivato alla meta, invece….comunque la baita dove riposare la troviamo senza tanti problemi. E’ un ostello della gioventù che senza stare a sindacare (potere dei soldi) più di tanto sull’età media del gruppo che dellla gioventù ormai ha un vago ricordo, c’assegna un paio di camere condivise con altri avventurieri che rientrano senza problemi nei parametri necessari ad essere ospitati.

Passare la mattinata alle terme di Schoul faceva troppo schifo, più bello invece faticare e sudare come un porcello su delle rampe impossibili. Così, la mattina del 2° giorno, democraticamente (nel senso che ha deciso lui), il marco10, sceglie il percorso da fare. Nessuno obbietta e, dopo aver recuperato alla fermata della Postal (pensava d’essere alla TransAlp) il magibest, partiamo verso la meta (così m’han detto). Risaliamo lentamente una valle di cui non ricordo il nome che alterna tratti ripidi a tratti ripidi, sotto un cielo che pare abbastanza inkazzato.

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Non ricordo chi, ma qualcuno il giorno prima aveva guardato le previsioni (ma di che zona ?) e aveva detto che ci sarebbe stato sole tutto il giorno. Tempo di chiederci se pioverà oppure no e si scatena l’inferno ! Pioggia, vento, nuvole, vento e ancora vento, grandine grossa come palle da bowling, tempesta (che non è come la grandine), pioggia, umidità e poi ancora vento. La situazione inizia a farsi veramente critica, ci troviamo in una situazione Kafkiana o Shakspiriana (non so che vuol dire ma so che si usa dire così), non si può proseguire ne tantomeno tornare indietro e neppure stare fermi. All’orizzonte, e pure in verticale, non si vede nulla. Inizia a nevicare, togliamo le scarpe e mettiamo le ciaspole. La neve continua a scendere (come suo solito….), ormai c’arriva alla cinta e noi proseguiamo con il passo a spinta. Fa freddo, sempre più freddo, tutto inizia a ghiacciare, togliamo le ciaspole e mettiamo i ramponi e proseguiamo a carponi. C’è nebbia, vento, grandine ma tanta grandine, ancora vento e addirittura una tromba d’aria ! Il nostro abbigliamento estivo è ormai tutto inzuppato, ci fermiamo per cambiarci ma il marco10 s’accorge d’aver dimenticato (ma come farà a diventare radunensis ?!!) il suo ricambio all’ostello. Nulla però gli fa paura, prosegue stoicamente a dorso nudo. Riprende a nevicare, togliamo i ramponi e mettiamo gli sci con le pelli. Questo continuo cambio di assetto crea confusione e mi ritrovo con due bici sulle spalle di cui una è quella del mario mentre lui, il bastardo, per non farsi notare, prosegue il suo cammino mantenendo la posizione del portage. Il maltempo non ci dà tregua, è un tempo da lupi tanto è vero che in lontananza sentiamo degli ululati. A qualcuno pare di vedere anche delle impronte d’orso. Di sicuro vediamo un dromedario, tipico animale autoctono delle Alpi Svizzere.

Il dromedario
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Ad un tratto un po’ di sole, ma poi di nuovo nuvole, pioggia, grandine, nebbia fitta, freddo, umidità, neve e ancora neve. L’altimetro (comprato nel parcheggio di un autogrill della Salerno-Reggio Calabria) del magibest segna una quota a 5 cifre, la nebbia c’avvolge e non capiamo dove siamo e nemmeno chi siamo, sappiamo solo che stiamo vivendo un’avventura che chiamarla epica è dir poco e che speriamo di poterla raccontare un giorno ai nostri nipotini davanti ad un calorifero. Incontriamo Messner che ci chiede: “afete voi incontraten Yeti ?” “No, però se ti può interessare mercoledì sera vediamo il JAG”. Finalmente il sole fa capolino e, senza che noi ce ne rendessimo conto, c’accorgiamo di essere arrivati al passo, punto più alto della gita !

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Visibilmente siamo tutti emozionati al limite della commozzione, io c’ho le lacrime agli occhi (dove se no ?), il latte alle ginocchia e l’acqua in casa, anche il Malve piange (gli è caduta la bici sul minolo !). Come il giorno prima, ci abbracciamo ci stringiamo le mani e la cintura, ma stavolta non ci baciamo.

Vicino al passo c’è una baita di pastori e il Malve si fa avanti. “hei kameratEn avetEn del formaggEN ?”. Fortunatamente non devono avere capito tutta la frase perché ci ritroviamo tra le mani pezzi di formaggio e un paio di cotechini che paiono il pistolino dei cavalli che stanno pascolando nei dintorni.
il Malve è quello con il casco
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Ora inizia una splendida discesa abbastanza larga per farci passare in formazione, ci son tratti in cui si può andare diritti e tratti dove poter fare qualche salto, ci sono curve a sinistra dove bisogna girare a sinistra e curve a destra dove bisogna girare a destra. Il Mario và in tilt e per aiutarlo a capire qual è la destra e quale la sinistra gli facciamo indossare l’orologio (ovviamente a sinistra).

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Io inizio ad essere nervoso perché è due giorni che mi sto massacrando per monti a me sconosciuti in cerca di una meta che sapevo invece facilmente raggiungibile !
Ad un tratto inizio a capire che forse ci siamo perché il magibest continua a far scorrere la lingua tra le labbra, segno che ha sete, e a rimanere indietro anche nei tratti in falsopiano. Ci pare di essere al Gratosoglio, passiamo attraverso anonimi agglomerati di baite immerse in immensi prati verdi e poi prendiamo un veloce sentiero che si ficca in un bosco. A metà discesa scendiamo dalla bici e la portiamo per un pezzo a spalla (giusto per non perdere l’abitudine), altre baite, altre vacche, altre fontane, altri paesi e poi, oltrepassata la frontiera (al Malve abbiam messo il cerotto sulla bocca) arriviamo al nostro furgone !! E’ la meta (chiedo) ?…..da Malles a Merano si sente echeggiare un “nooooooooooo” !! un po’ inkazzato mi metto il cuore in pace e con la promessa di togliere (non solo su fb) l’amicizia ai mie compagni di viaggio, mi seggo sul sedile posteriore del furgone e schiaccio un bel pisolino. Con la gentilezza che lo contraddistingue il magibest dopo circa 1/2 ora mi sveglia e mi dice: “dai, fiore, siamo arrivati”. Non so se dormo o se son sveglio, non so se credergli o no ! Gli do fiducia, scendo stancamente dal furgone, stropiccio gli occhi ed effettivamente davanti a me si apre lo scenario da me agognato……la meta !!!

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Vabbè che il Paradiso bisogna guadagnarselo, in questa occasione mi pare però si sia andati un po’ oltre e di aver guadagnato del bonus anche per almeno cinque generazioni che mi seguiranno ! La meta era lì, anche semplice da raggiungere, perché tutto sta faticaccia ? Misteri della mountain-bike……comunque, oltre le tre tracce linkate in precedenza, vi passo la mia: si parcheggia la macchina a Lagundo in Vinschgauer Str. 9 via Val Venosta, si percorrono 50mt di statale e poi si sale su di un ponticello (è l’unico tratto esposto) di legno che scavalca la strada e si è alla meta. E’ comunque un tracciato da non sottovalutare, ci vuole una buona preparazione, “fegato” apposto e un buon allenamento (specialmente al ritorno) per affrontarlo.

Qualunque scelta facciate, buona pedalata !

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