Lo stretching parte II (globale e in postura)

E’ arrivato il momento, dopo un articolo di Luca in cui si consigliava fortemente lo stretching in alcune fasi della stagione come cura e prevenzione di molti problemi alla colonna, di approfondire questo argomento. Per chi non l’avesse già letto consiglio di rivedere il primo articolo sullo stretching, nel quale si faceva una panoramica di tutte le tecniche e se ne consigliava un tipo rispetto ad un altro in base agli obiettivi e al momento della stagione.

Quest’oggi, entrando anche in un momento ‘tranquillo’ della stagione (state per andare in letargo parlando di preparazione atletica, o ci siete già andati), vale la pena approfondire un tipo di stretching posturale, in catena. Come abbiamo anticipato nello scorso articolo uno stretching di tipo globale in catena ci permette di andare ad allungare diversi muscoli allo stesso tempo, volendo anche muscoli facenti parte della stessa catena cinetica. Perché può servire? Guardiamo la foto sotto: uno stretching analitico del femorale:



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Il ragazzo sta tentando di allungare i muscoli femorali/ischiocrurali, ma è incapace di scendere quel tanto che basta per poter portare il bacino in antiversione e trascinarsi (appunto allungando) i muscoli posteriori della gamba, come invece succede nella foto sotto.

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Tralasciando i motivi per cui il ragazzo di prima non riesce a scendere che possono essere molteplici, in alcuni casi un allungamento globale della catena di cui fan parte gli ischiocrurali è più efficace. Quando è più efficace? Ora è il momento più adatto. O meglio, in ogni momento della stagione per risolvere rigidità importanti, lontano dalla fase agonistica per atleti poiché come abbiamo imparato nello scorso articolo, gli stretching di tipo statico possono rallentare la risposta neuromuscolare (e questo trattasi pur sempre di uno stretching statico). Ecco quindi quale può essere il risultato di un allungamento globale della catena posteriore, una postura a squadra inversa:

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Come vedete, per mettere in tensione tutta la muscolatura, occorre attuare dei piccoli accorgimenti:
– Il bacino deve essere sempre a contatto col terreno, nel caso non si riesca, è meglio allontanare i glutei dalla parete, disegnando più di 90° col corpo (allontanarsi dalla classica squadra, per poi piano piano col tempo raggiungerla)
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– Le spalle devono aderire anch’esse al terreno
– Spingere verso di sé le punte dei piedi significa allungare meglio muscolatura posteriore della gamba (tutta, alcuni di voi sentiranno tirare prima i ‘polpacci’, magari proprio perché il primo punto ‘debole’ della vostra catena è quello: in questo caso consiglio prima uno stretching analitico dei polpacci su un banale gradino, e successivamente la postura a squadra)
– Fare una retropulsione del mento e immaginare di spingere verso ‘su’ la testa (senza mai staccarla da terra) aiuta a rettilineizzare la colonna e mettere bene in tensione anche la muscolatura paravertebrali. Non tutti voi, anche qui, riusciranno a fare la retropulsione, e in alcuni casi è necessario un cuscino sotto la testa per non creare problemi al collo (cuscino che piano piano si potrà andare assottigliando). Possibile infine mettere cuscini o spessori di diversa forma sotto la schiena a diversi livelli per raggiungere determinati obiettivi specifici.
– Fare una cosiddetta ‘respirazione diaframmatica’ (che abbiamo già detto NON ESISTE ma è un buon modo per far capire alle persone come muovere bene il diaframma) può aiutare il rilassamento mentale e muscolare

Per quanto tempo va tenuta una postura del genere? Da 1 fino anche a 5 minuti, per 1/5 serie. Capirete anche voi quanto sia impegnativa come posizione. Eppure è la più semplice tra le posture a squadra ideate da Mezieres e modificate, sviluppate da altri successivamente.

Ecco invece una postura a squadra classica:

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Per le posizioni di colonna, piedi ecc…valgono le stesse regole di prima.

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Questa variante è molto più difficile per chi non ha quella mobilità per poter stare tranquillamente a 90°, ed è sconsigliabile se guardandovi allo specchio vedere angoli o curve anomali. Vi è poi una terza squadra ma è ancor più complessa da attuare per la maggioranza delle persone e non mi fa impazzire tenuta per troppo tempo (ottima invece inserita per pochi secondi in stretching dinamico).

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Il bello di tutte queste varianti di stretching è che possiamo agire a diversi livelli e andare ad allungare o ad accorciare alcuni muscoli (anche facenti parte della stessa catena: uno allungato e uno accorciato) per arrivare ad ottenere in un unico esercizio i benefici che, nemmeno con sicurezza, potremmo ottenere con 10 altri esercizi analitici.

Ecco un esempio: guardate un allungamento in catena per la catena anteriore:

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In questo esercizio la fitball è posizionata ‘sulla cifosi, o dove voi avvertite di più la vostra gobba’ (parlo semplice a volte perché capiate meglio, in poche parole la fitball è più in alto sulla colonna rispetto a quando fate un crunch), le braccia cadono indietro extraruotate, la testa cade dietro o (se molto mobili) si appoggia e va a toccare sulla palla. Riassumendo sono quindi in allungamento:

– Pettorali, dorsali, in parte addominali, muscoli intrarotatori spalla….e molti altri muscoli…
– In espirazione si allunga diaframma
– In espirazione ed abbassando le clavicole si allungano i muscoli anteriori del collo
– In espirazione e spingendo con la lingua sull’arcata dentale superiore, o tirandola fuori verso il naso, si allungano gli ioidei

E moltissimi altri muscoli e, importante, strutture profonde non per forza muscolari (pensiamo solo a tutte le strutture che partono dal diaframma, mantengono il cuore in posizione, e arrivano fino alla gola)…in base a come agiamo e alla nostra capacità di percepire il nostro corpo.

E ora? Una volta in questa posizione? Innanzitutto per molti di voi già tenerla crea tensioni a livello dorsale (perché magari avete una cifosi rigida); avete quindi bisogno di tempo per ‘allentare questa tensione’. In un secondo momento lavorando sulla respirazione si possono andare ad allungare diverse strutture.
Ma veniamo al discorso di prima. Qual è il bello dello stretching in catena? Che possiamo modificarlo a nostro piacimento: mettiamo che il soggetto in questione abbia una rigidità a livello del diaframma (un diaframma in inspirazione – contratto -) e allo stesso tempo degli ischiocrurali molto accorciati. Nulla ci vieta di metterlo sulla fitball supino come sopra e fargli fare un lavoro in espìrazione (buttare fuori l’aria finchè non ne ha più un filo nei polmoni), ma allo stesso tempo posizionargli i piedi sulla parete per ricreargli una ‘pseudosquadra’: la fitball ci aiuterà ancor di più a mantenergli il bacino in antiversione e allungare la muscolatura posteriore delle gambe. Tutto ciò se abbiamo escluso che il problema riscontrato sulla colonna durante una analisi posturale dinamica è dovuta solo al diaframma e non allo psoas (che attaccano circa allo stesso livello sulla colonna, ma uno, il diaframma, in questo esercizio è in allungamento, mentre l’altro, lo psoas, con le gambe su è in totale accorciamento).

Queste belle parole per farvi comprendere quante mille sfaccettature ci siano sullo stretching posturale, che è uno dei metodi migliori per raggiungere una maggiore flessibilità (attenzione non elasticità). Va fatto con cautela e sotto consiglio di un esperto. Di posizioni ve ne sono una infinità e tutte altamente personalizzabili sul soggetto.

In linea generale comunque, è sempre bene prima fare uno stretching di tipo analitico, per poi passare a uno stretching in catena.

All’interno di una seduta posturale o di allenamento, paradossalmente questo tipo di stretching può essere più efficace a freddo piuttosto che a caldo. Nessuna controindicazione comunque nel farlo a fine allenamento. L’unico limite, come anticipato, il momentaneo rallentamento del gesto atletico. Vedremo a breve dei movimenti di stretching dinamico (con video) stile power yoga, che in alcune fasi e in alcuni secondi ripercorrono delle posizioni di stretching globale (pensate al ‘cane guarda giù’ del saluto al sole).

Per finire in bellezza, e per completezza su questo argomento, vi allego un articolo di Federico Flore, collega di cui vi avete già letto in passato, che vi riassume alcuni concetti già espressi da me nel precedente articolo e vi da nuovi spunti preziosi.

Vi ricordo che tra 15 giorni sarà attivo il nuovo sito www.fftraining.it ricco di contenuti quotidiani per la preparazione atletica e il fitness in genere, con un nuovo software per avere schede personalizzate con foto e video. Sempre 15 giorni all’inizio di X-training, format di preparazione atletica di gruppo a Torino specifico per mtb e motocross, presso la palestra Healthcity via Nizza. 4 i posti ancora disponibili. Tutti qui sul forum potrete vedere gli allenamenti che faremo. Per ulteriori info contattatemi.

La mobilità articolare e benefici chinesiologici dovuti all’allenamento di Federico Flore

La flessibilità o meglio, mobilità articolare è la capacità di un gruppo articolo-muscolare di eseguire movimenti nella maggior ampiezza possibile, con l’aiuto di forze esterne (fless. Passiva) o in modo autonomo (fless. Attiva).

La maggior escursione dell’esecuzione passiva mette in evidenza un livello di margine di miglioramento che l’esecuzione attiva può raggiungere con l’allenamento, ed è molto spesso trascurata e sottovalutata anche se presenta non poca importanza nel campo della prevenzione degli infortuni e traumi.
Ogni movimento necessita del raggiungimento dei gradi funzionali, attraverso i quali le leve corporee garantiscono, a livello biomeccanico, maggiore efficienza nella prestazione di forza.

Aumentando l’ampiezza del movimento, si facilitano i processi di apprendimento motorio e favorisce una corretta ed economica esecuzione dei gesti. Un gesto effettuato senza una buona mobilità muscolare risulterà antieconomico e dispendioso, oltre che più faticoso per l’individuo.
Tale facilità è fornita oltretutto dalla scarsa opposizione dei muscoli antagonisti, allenati in precedenza “all’allungamento” anche per un adattamento specifico degli organuli tendinei del Golgi, adibiti, insieme ai fusi neuromuscolari, alla propriocezione muscolare. I recettori del Golgi, facenti parte del SNP (sistema nervoso periferico) sono situati a livello delle giunzioni tendineo-muscolari e rispondono prevalentemente alla tensione sviluppata dal muscolo scheletrico durante una contrazione isometrica, causando un riflesso inverso da stiramento. In sostanza questo riflesso rallenta la contrazione muscolare, o prevengono l’eccessiva contrazione che potrebbe danneggiare il muscolo.

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Un esempio palese è il meccanismo del riflesso patellare, ossia quando il medico prende il martelletto e percuote, nei limiti, il tendine della rotula deflettendolo e andando a stirare il muscolo a cui è connesso, ossia le fibre del quadricipite femorale. Sono definibili sostanzialmente come dei dispositivi di sicurezza, una sorta di “salvavita muscolare”, in quanto evitano i danneggiamenti muscolari, ma sono altresì importanti per la coordinazione tra muscoli agonisti e antagonisti.

Un buon grado di flessibilità, può quindi facilitare l’espressione di forza e velocità di un determinato muscolo che si esprime da agonista, dato che l’antagonista, essendo allungato, non oppone resistenza frenante.
Si può quindi affermare con certezza che il movimento non accompagnato da un buon grado di mobilità, non si può eseguire in maniera ottimale sotto l’aspetto dinamico e spazio temporale.

Ritornando al punto di vista preventivo e riabilitativo possiamo dire che assieme al rafforzamento muscolare e la recupero propriocettivo, anche la mobilità assume grande importanza, in quanto la rigidità è uno degli aspetti contrastanti in tale campo.

Un esempio di quanto sia fondamentale la mobilità articolare si può effettuare col rachide, l’asse portante del nostro corpo, in quanto sta in rapporto con le catene cinetiche superiori e inferiori, che regolano l’equilibrio in antero e retroversione e dev’essere allenato a dovere e costantemente per mantenere la postura corretta ed evitare dolori e malanni vari, che superata una certa età si fanno in genere sempre più numerosi e più dolorosi col passar degli anni.
L’allenamento fornisce anche un rilassamento neuromuscolare che non dev’essere minimamente trascurato.
Esistono oltretutto dei fattori inibenti la flessibilità, ossia, perdonatemi il gioco di parole, la sedentarietà. Mi permetto di uscire dalle righe per qualche istante in quanto anche questo fattore a parere mio è fondamentale nella perdita graduale della motilità stessa.

Partendo dalla premessa che ciascuno di noi possiede un determinato grado di flessibilità, sia per motivazioni genetiche, sia per la motricità che affrontiamo quotidianamente, quindi la muscolatura si adatta alle richieste motorie quotidiane appunto.
Ecco perchè è una capacità allenabile, che migliora se pratichiamo attività fisica, e peggiora a causa della sedentarietà, come accade ai soggetti allettati per varie cause, che dopo un periodo medio lungo si ritrovano più rigidi e faticano anche solo a camminare per pochi metri, oppure a soggetti che diventano sempre più pigri. Le cause di ciò le possiamo individuare nelle comodità del mondo moderno, vedete ascensori, auto, moto, e mezzi di locomozione vari, oltre che diete sbagliate, ricche di grassi che rimandano sempre più alle “porcherie” dei fast food, completamente antisalutari.
In quanto i risultati si ottengono gradualmente e col tempo, occorre programmare al meglio l’allenamento stesso.

Temperatura corporea e forza

É molto importante nella flessibilità muscolare, anche la temperatura corporea interna, ma anche quella dell’ambiente esterno, quindi tutto ciò che riguarda il riscaldamento muscolare.
Le temperature basse sono fattori che possono predisporre l’apparato muscolo scheletrico a lesioni di vario tipo, quindi il riscaldamento, finalizzato all’aumento della temperatura corporea, aumenterebbe l’afflusso sanguigno a livello muscolare, andando ad esaltare le proprietà visco elastiche di questi e delle strutture annesse (tendini, legamenti, cartilagini).
Si innalzerebbe inoltre il livello di eccitazione dei recettori che si prepareranno alla contrazione.

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Lo stretching dev’essere sempre correlato col tipo di attività motoria che si andrà a svolgere, e di questo esistono diverse tecniche, statico, o dinamico, ma non molleggiato!

Quest’ultima opzione andrà letteralmente ad illudere i propriocettori che potrebbero favorire uno stiramento o peggio, uno strappo muscolare. C’è da sottolineare oltretutto che il livello di forza non è correlato con il gradiente di flessibilità, ad esempio atleti di sport di combattimento, sprinters, nuotatori e ginnasti, presentano alti livelli di forza, ma non presentano minimamente problemi di rigidità articolare, anzi, tutt’altro, possiedono ammirabili equilibri muscolari, senza eccedenze di tensione nell’ambito articolo-muscolare. Pertanto, a livelli molto avanzati, il cosiddetto ‘molleggiato’ si può fare.

Per molti body-builders è tutto differente in quanto essi presentano diversi squilibri muscolari, ad esempio a livelli di spalle, tronco e arti superiori, anche se certi, che si allenano bene, riescono ad avere un discreto range di movimento, limitato in parte dall’ipertrofia muscolare stessa.
C’è da sfatare il tabu che i soggetti praticanti BB siano tutti rigidi, e invece no, per esperienza personale, ho potuto notare che molti sono agili quanto un atleta praticante allenamento funzionale.
L’allenamento della forza si deve sempre realizzare nel massimo ROM (range of motion, ossia l’arco di movimento articolo-muscolare detto in parole poverissime) e occorre sempre ridurre a fine allenamento le contrazioni con stretching, come detto prima, alla fine di ogni competizione.
Si andrà quindi da una contrazione concentrica ad una eccentrica cercando appunto il massimo range.

Metodologie dello sviluppo della mobilità articolare

tecniche e dinamiche Dolci: si basano sull’allungamento dinamico balistico dei sistemi muscolo tendinei interessati, non molto frequenti ma si possono ottenere discreti risultati in ambito della mobilità della colonna vertebrale. Può essere positivo per i soggetti obesi di cui si è parlato poc’anzi, dovrebbero compiere principalmente esercizi in assenza di gravità, come nuoto, in cui si prevengono infortuni vari alle articolazioni.

PNF (propioceptive neuromuscolar facilitation): derivano da procedure terapeutiche nella riabilitazione e da alcuni anni vengono utilizzate negli sport per il miglioramento della mobilità articolare, le tecniche sono diverse e si basano principalmente sulla combinazione di contrazioni alternate dei muscoli agonisti e di quelli antagonisti.

Stretching statico: è decisamente la branca più diffusa per quanto riguarda le tecniche di mobilità articolare, sia per via della facilità d’esecuzione, sia per la mancanza di effetti antifisiologici sull’apparato muscolo-tendineo. È soddisfacente per quanto riguarda i margini di miglioramento.

Le posture vanno accompagnate inizialmente da un collaboratore e via via vanno automatizzate assumendo quindi un notevole significato.
La posizione va tenuta intorno ai 10-15 secondi in fase di riscaldamento con pause di circa 60 secondi o 30-40 in fase defaticante nella fase conclusiva dell’allenamento o competizione. I tempi quindi sono variabili a seconda delle scuole di pensiero. Le posture vanno accompagnate sempre da profonde respirazioni per raggiungere uno stato di rilassamento, riducendo gradualmente le tensioni, ottimale per ottenere risultati discreti e soddisfacenti dalla tecnica in questione.

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Ad un biker occorre effettuare un determinato stretching rivolto a tutte le articolazioni, in quanto sono tutte, direttamente o indirettamente sottoposte ad un relativo stress durante la prestazione.
Si inizia stirando il collo eseguendo i movimenti indicati nella figura soprastante. Sono importantissime le gambe, nostra fonte di motricità, ma anche schiena, addome, e arti superiori, in quanto assorbono moltissimi stress generati dal terreno dissestato in cui si pratica la disciplina.
Si proseguirà con la schiena, facendo attenzione sempre a non eseguire movimenti bruschi per evitare qualsiasi tipo di trauma e infine si conclude con le gambe, riferendoci alle figure, 35,36,39, 40,42, 45, 46 e 50, in quanto sono le più semplici e comuni da eseguire.

Bibliografia: Biomeccanica dell’esercizio fisico- A. Stecchi

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Un ringraziamento per i preziosi consigli al dott. Claudio Casu, caro amico e compagno di studi.

Grazie a Federico, e arrivederci alla prossima settimana! Buon relax a tutti!

Federico Frulloni
personal fitness trainer & preparatore atletico
[email protected]
3482206686

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