[Race Insider] CaiDom: race report e video dall’elicottero

2 di notte di Giovedì: la città di Bressanone è deserta. Tutti sono a dormire, non c’è anima viva nelle strade. Sono più di 5 ore che siamo in viaggio: la stanchezza si fa sentire ed il desiderio di una bella dormita è ormai alcune ore diventa sempre più assillante nella nostra testa. Il navigatore ci dice che manca poco alla nostra destinazione, il posteggio in cui piazzeremo il camper per questa notte. Finalmente siamo arrivati, prepariamo i letti e subito a dormire: domani si prova!



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Con un solo giorno a disposizione per provare, un percorso non facile da raggiungere perchè non servito completamente dagli impianti e, non meno importante, la gara in salita del giorno dopo, le prove dovranno essere razionalizzate al massimo. 3 giri della parte centrale (servita da una piccola cabinovia) e poi un rientro fino in paese, giusto per farci un idea del secondo tratto di gara. proveremo la parte sopra, che si raggiunge solo pedalando,  l’indomani pomeriggio dopo la salita.

Sono curioso, Bressanone è per me una novità: non sono mai stato qui e non ho la più pallida idea di come sia il percorso. Partiamo per la prima discesa, ritmo blando, per scaldarci. Neanche il tempo di percorrere poche centinaia di metri e subito la sfortuna si mette sulla mia strada… Sto percorrendo un ripido tratto lungo una pista da sci, quando le pastiglie del freno anteriore, per un motivo misterioso, escono dalla pinza. Attimi di panico… Mi sento un po’ come Fantozzi alla coppa Cobram, la mitica scena in cui si rompono i freni. Il minuto più lungo della mia vita! Finalmente mi fermo, ma ho percorso 500m lungo la massima pendenza della montagna… Per niente bello, ve l’assicuro! La causa? Si è allentato il perno che tiene le pastiglie nella pinza e queste, per le vibrazioni, sono uscite proprio nel momento meno opportuno. Vabbè, tutto è bene quel che finisce bene! Monto  pastiglie nuove e con un piccolo fil di ferro sostituisco il perno: questa riparazione durerà anche per la gara!

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Il primo approccio con il percorso è abbastanza traumatico: il fondo è umido, pieno di radici, ripidi… Sicuramente il rischio corso prima ha giocato un ruolo poco favorevole, fattostà che trovo non poca difficoltà nell’affrontare certi passaggi. Più di una volta io ed i miei amici pensiamo di aver sbagliato strada: “Non possono far scendere la gente di qua!” E invece no, il percorso passa proprio dove non ti saresti mai aspettato. Niente a che vedere con le solite gare enduro, qui non si scherza!

Dopo però il primo giro, decisamente traumatico, la situazione migliora. Sarà anche che lo spavento comincia a passare, sarà che conoscere il percorso ti aiuta, ma comincio a capire come interpretare il tracciato. “Sul bagnato è solo questione di testa, devi lasciar correre la bici e non aver paura”, diceva qualcuno: è proprio vero!

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Salita? Discesa? Chi non conosce la CaiDom sarà rimasto sicuramente spiazzato… La CaiDom è infatti una gara composta da più formule.

Il sabato si corre la DomCai, una dura cronoscalata che dall’abitato di Bressanone arriva fino al rifugio Cai nei pressi della Plose. 2000m di dislivello positivo, 17km di cui neanche un metro di discesa. Una cronoscalata a tutti gli effetti, insomma.

La domenica si corre invece la CaiDom, la freeride marathon in cui 300 bikers si buttano su un percorso tutto in discesa dalla cima della Plose fino alla cittadina di Bressanone. 11km per 2000m di dislivello di vero inferno!

Per i più temerari c’è poi la King (o Queen per le donne) of the Plose, la combinata. Con la stessa bici si deve affrontare il sabato il percorso di salita, la domenica la freeride marathon. In base al piazzamento assoluto nelle due gare, vengono assegnati i punti. Si sommano quindi i punti assegnati in salita ed in discesa e si stila la classifica.

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L’ambito trofeo! Ph by: Hannes Auer

A dirla tutta ci vuole un po’ di masochismo per partecipare alla combinata… I 2000m del sabato sono durissimi e si sentono tutti poi la domenica in gara… Cosa fare quindi? Partecipare solo alla discesa? Non sia mai, il bello di questa gara è la combinata, per cui la scelta è obbligara: King of the Plose!

Sabato: la DomCai

Una gara così particolare, richiede cura nel setup della bici. Da regolamento non si possono cambiare ruote, telaio, sterzo, anche se in realtà nessuno controlla e quindi uno potrebbe fare quello che vuole. Personalmente però voglio essere leale, non mi importa di imbrogliare per guadagnare qualche posizione, non mi sentirei a posto con la mia coscienza. Mi attengo quindi al regolamento, anche se so benissimo che sarà pieno di “furbetti”. Cambio le gomme con un paio più scorrevoli, gonfio l’ammortizzatore a 250PSI e la forcella al massimo consentito, per evitare ogni tipo di bobbing. Via il telescopico, solo peso inutile. Zaino ridotto all’osso, lo porto solo per avere la sacca idrica.

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Si parte alle 10, al campo sportivo. Siamo in pochi ad affrontare la DomCai, meno di 100 bikers tra quelli che prendono parte alla sola cronoscalata e quelli che fanno la combinata. In perfetto orario si parte, alla rinfusa, non c’è una griglia di partenza, si parte come capita dal campo sportivo. “Boh, via di gomitate!” è subito bagare per stare davanti, anche se la salita sarà molto lunga.

Il gruppo tira, tutti cercano di piazzarsi davanti perchè il primo tratto di salita, fino alla partenza della funivia, è quasi tutto a piedi e quindi ci sarà parecchio imbottigliamento. “Ma quanto tirano? Mica andranno così fino in cima?” Comincio a preoccuparmi vedendo gente che mi sfila da ogni parte a velocità fotonica…

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Si va a piedi, incolonnati come in autostrada… Ne approfitto per una foto ricordo: questa maglietta fuo anni ’90 mi accompagnerà per buona parte della salita…

Inizia il tratto a piedi, il massimo per la mia caviglia reduce dall’infortunio di fine agosto. Poco importa, stringo i denti e continuo, cercando di tenere il ritmo del gruppo. Rapidamente arriviamo alla partenza della funivia, da qui in poi è tutto strada bianca in salita, non troppo ripida. Salgo bene, le gambe girano. Tengo il ritmo del gruppo, sorpassando un bel po’ di persone.

La strada non finisce più e dopo interminabili chilometri ecco l’arrivo della funivia. “Finalmente, manca poco!” In realtà il pezzo dopo la funivia non l’ho mai provato, però sono convinto che non sia particolarmente lungo, un 10-15 minuti al massimo, o per lo meno così mi auguro… Il tempo è buono, sono ancora sotto le 2 ore: sto salendo bene, pensavo molto ma molto peggio!

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In realtà però le mie congetture si rivelano tutte false illusioni: dalla funivia alla cima manca ancora un bel pezzo, almeno 30 minuti con un buon ritmo. Sono a ca 1 km dalla funivia, le gambe girano ancora bene. All’improvviso, quando meno me lo sarei aspettato, arrivano loro lui, i nemici giurati di ogni biker: i crampi!

Scendo a piedi, per sciogliere le gambe: niente. Da qui in avanti il percorso diventa ripidissimo: pedalare è impossibile, si spinge a piedi. Bici a spalla, su dritti per le piste da sci. Bene, a piedi dovrei farcela! Cambiano i muscoli e quindi i crampi dovrebbero passare. … e invece no: eccoli, inesorabili, che arrivano non appena la pendenza aumenta, con il rifugio ormai in vista.

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Ph by: Hannes Auer

Poco da fare, mi devo fermare. Stretching, bevo acqua in abbondanza: tutto inutile. Gli ultimi 100m di dislivello diventano un vero e poprio calvario. Sono continuamente fermo per stretchare, mi sorpassa tantissima gente, molti dei quali avevo sorpassato prima… Chissà che risate si staranno facendo! Proprio adesso, a due passi dalla cima, bloccato dai crampi…

Strano… Non sono certo un biker alle prime armi e di solito so gestire piuttosto bene le energie in salita. Che cos’è successo? Alimentazione sbagliata? L’aver gestito male le energie, preso dall’euforia dell’essere quasi arrivato? Boh, fattostà che arrivo stremato alla cima, più muscolarmente che fisicamente perchè se non fosse stato per i crampi l’ultimo pezzo me lo sarei anche fatto di corsa!

2h 45 minuti alla fine, un buon tempo tutto sommato per la bici da 180mm che pedalo: 750m di VAM non sono pochi su ca 2000m di dislivello. Guardo i tempi: il primo (che poi scoprirò essere una ragazza) ci ha impiegato 1h45 min: da non crederci!

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Elisabeth OSl, la vincitrice. Ph by: Hannes Auer

Domenica: la CaiDom

Sveglia presto: oggi dobbiamo presentarci all’imbarco della funivia alle 8 del mattino, il che significa prendere la navetta alle 7.15. Alle 6, prima dell’alba, sono in piedi: mi ricorda tanto la Megavalanche quando ti devi alzare alle 5 per salire sul ghiacciaio del Pic Blanche…

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E’ ancora buio sulla strada per Bressanone

Essendo il nostro primo anno siamo ligi agli orari: se è come alla Mega, chi arriva tardi non sale. In realtà scopriremo che alla fine nessuno controlla e quindi ti imbarchi quando vuoi… Lo start è alle 14! Passiamo quindi 5 ore al bar, cercando di ammazzare il tempo chiacchierando e bevendo litri di the e caffè per scaldarci…

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Il meteo non promette nulla di buono: nebbia e freddo, già salendo con la telecabina si capisce che cosa ci aspetterà in cima

Finalmente ci si mette in griglia: il tempo è poco rassicurante… Fa freddo, c’è vento e una fittissima nebbia circonda la cima: non si vede a pochi metri dal naso.

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Le ragazze partono in prima fila, con 250 uomini alle spalle: una scelta decisamente insolita per questo tipo di gare. Ph courtesy by Andrea Contrini

Ci fanno posizionare in griglia, senza però spiegarci come metterci. Alla fine, io ed altri amici inesperti sbagliamo e veniamo retrocessi in 2° e 3° fila perchè oramai i posti davanti sono esauriti. Chi primo arriva meglio alloggia è la regola, ma spiegare bene le regole per il posizionamento in griglia non sarebbe male…

La partenza avviene a piedi, di corsa. Le bici sono sulla griglia di partenza, tu ti devi metterti a correre, raggiungere la tua bici e partire. Male, malissimo per la mia caviglia… Vabbè faccio quello che posso, non posso certo mettermi a correre come un centometrista: zoppicherò fino alla bici!

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Tutore e chip: sono due settimane che ho ripreso ad andare in bici: forse la CaiDom non è proprio il modo migliore per recuperare da un infortunio!

La nebbia si infittisce: ora non si vede neanche il countdown per la partenza. Ad un certo punto tutti partono ed anch’io inizio a correre, senza però strafare, ovviamente. manate in faccia, strattoni. La nebbia è fittissima, non si vede niente! Procedo in quella che era la direzione della mia bici, ma non la trovo! Dov’è finita? Raggiungo la prima linea, torno indietro: eccola! Ma dove era finita? La ritrovo 1 metro oltre la linea di partenza. Cos’è successo? Qualcuno l’ha spostata pensando di aver preso la propria bici oppure è stata trascinata più avanti e sono io ad aver perso l’orientamento nella nebbia? Non lo saprò mai, fattostà che ora sono quart’ultimo: insieme a me altri 3 sfortunati che hanno avuto il mio stesso problema. Per fortuna non sono l’unico, anche se è una magra consolazione!

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“Sarà una gara tutta in salita…” L’ultimo del gruppo è a 50 metri, che recupero rapidamente essendo quelli davanti quasi tutti fermi, imbottigliati all’imbocco della strada. Sposto la levetta del cervello su OFF: l’unico obiettivo è ora recuperare quante più posizioni possibile.

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Nelle retrovie il ritmo è piuttosto blando… Da notare l’ottima visibilità!

Esco dalla strada, cercando di sorpassare nel prato, pedalando come un pazzo… Ad un certo punto una staccionata, con uno stretto passaggio. Niente protezioni, se non centri il cancello ti schianti sul legno: o fai centro, o vai al pronto soccorso! Mi butto a kamikaze in mezzo al gruppo per non sfracellarmi, la tattica, per quanto rischiosa, funziona. Un paio di gomitate, ma supero l’ostacolo indenne. Ora iniziano le curve: tattica Mega, evita la ressa. Anche qui riesco a fare numerosi sorpassi: bene!

Mi sono sempre chiesto quale possa essere il motivo che abbia spinto ad una simile scelta, ma dopo il rifugio il percorso si stringe, sale su una ripida cresta e si butta dritto giù da una scarpata. Il tutto quando di fianco c’è un liscissimo prato in leggera pendenza che eviterebbe quest’inutile deviazione. Naturalmente se sei dietro in questo tratto si forma un tappo mostruoso: tutti a piedi, fermi ad aspettare il proprio turno, sia per salire che per scendere. Dopo quasi un minuto di attesa raggiungo il ripido, ma scendo a piedi, non c’è la strada libera per affrontare in sicurezza questo tratto. Buttarsi in bici significherebbe travolgere qualcuno e farsi inutilmente male in due.

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Tutti a piedi! Ph courtesy by Andrea Contrini

Proseguo quindi, altro ripido altro tappo… Il gruppo si sgrana per i numerosi imbottigliamenti ed il numero di persone che riesco a sorpassare cala miseramente…

Inizia il singletrack ed ecco che arriva lui, il “chilometro lanciato” un lunghissimo ripidone sulla massima pendenza della montagna da fare a tutta, cercando di frenare poco per non perdere il controllo. Quando parti non ci sono ripensamenti, non ti fermi più fino alla fine. Facile direte, basta avere solo un p’o di coraggio e lasciar correre la bici. Vero, se non fosse che in gara è pieno di gente a piedi! Ormai sono partito, non posso più fermarmi. Passano 30 secondi di inferno: il ripido si trasforma in uno slalom speciale per evitare gente che cade, rotola lungo il sentiero o scende a piedi. Ne esco incolume, non so come, ma con ancora il terrore negli occhi.

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Non sono l’unico a dover fare lo slalom sul “chilometro lanciato”!

Da qui in avanti sorpassare è impossibile. Si, qualche anticipo e qualche linea alternativa c’è, ma il percorso è al 90% obbligato e piuttosto tecnico, non proprio il massimo per una gara di questo tipo, dove bisognerebbe lasciare spazio per i sorpassi. Poco da fare comunque, l’unica è urlare per chiedere strada, magari in più lingue. TUtto inutile: quelli davanti pensano più che altro a sopravvivere oppure non si spostano perchè non capiscono, o più semplicemente non ti vogliono far passare. D’altronde nelle avalanche è così: vuoi passare? Bene, ma per farlo devi prenderti la strada…

Incontro e sorpasso anche diverse ragazze che per quanto brave, vanno comunque più piano di noi uomini… Non è un’idea tanto furba farle partire in prima fila, verranno raggiunte e sorpassate per tutta la gara. Loro però non sembrano essere per niente disturbate dall’avere una mandria di bikers scatenati alle proprie spalle: d’altronde sono quasi tutte austriache o tedesche!

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Sfido chiunque a sorpassare su passaggi del genere!

Stare dietro a qualcuno più lento è sempre un problema: non vedi le linee, non riesci a stare alto sugli anticipi perchè vai troppo piano, ti pianti negli avvallamenti perchè ti si blocca all’improvviso in salita… Alla fine vai più piano di quello che potresti e fai più fatica… Però che ci puoi fare? Sei tu il cretino che ha perso la bici in partenza, accodati e stai zitto!

Arriva la partenza della funivia ed inizia il terzo ed ultimo tratto. Qui c’è più da pedalare e le possibilità di sorpasso non mancano. Peccato però che oramai il gruppo sia sgranato e diviso in gruppetti più piccoli, gli uni parecchio distanti dagli altri. Inizio subito con il chiudere un rider su un vaso di fiori, visto che sono 5 minuti che mi rallenta e non mi lascia volontariamente passare, chiudendo, in maniera poco sportiva, tutte le traiettorie.

Inizia ora l’ultimo tratto, con una serie di passaggi strettissimi e veramente impegnativi, nonché anche piuttosto pericolosi. Ho strada libera, bene! Almeno posso tenere il mio ritmo. Ho però cantato vittoria troppo presto, sarebbe troppo bello avere strada libera… Appena inizia il pezzo più difficile infatti tutti a piedi! Qualcuno davanti non se la sente ad andare giù in bici, bloccando tutti quelli dietro. Le FR marathon sono così, sono cose che capitano di frequente, quindi scendo a piedi pure io prendendo la cosa con filosofia.

Sorpasso quelli davanti e raggiungo il primo del gruppo, quello che sta facendo da tappo: scende alla si salvi chi può, zero controllo della bici, sembra dover esplodere da un momento all’altro. Un folle: appena mi sente cerca di accelerare, ma il risultato è solo che prende ancora più rischi: sono preoccupato, se cade lo travolgo pure io, e magari ci travolge anche quello dietro! Per quanto si sforzi ad andare forte, in realtà infatti scende a passo d’uomo e stiamo perdendo terreno rispetto a quelli davanti… Non ce la faccio più… Come avrà fatto a finire qui a metà gruppo? Come mai non è nelle retrovie? Chiedo strada in ogni modo, provo a mettergli pressione: niente, non vuole far passare. La sua risposta quando chiedi strada è “Passami, se ce la fai…” Mi sembra male buttarlo fuori dal sentiero e prendermi la strada, visto che qui il percorso è stretto ed esposto: si farebbe sicuramente male. Devo però dire che più di una volta però ci ho pensato… Aspetto l’occasione buona, ad un tornante taglio all’interno, sul prato, gli sbuco davanti e tagliandogli la strada  brutalmente  lo sorpasso. Finalmente!

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La ripida passerella nel tratto alto: la foto non rende, ma è decisamente verticale!

Davanti a me ora c’è il vuoto: non si vede anima viva… C’è un tratto da pedalare in cui rilancio come un disperato. Asfalto, curve strette a gomito: il cervello è sempre in modalità OFF: l’obiettivo è solo cercare di raggiungere quello davanti e sorpassarlo, chiunque esso sia. L’adrenalina fa passare ogni paura, scendo come un disperato sulle strette stradine asfaltate sorpassando numerosi altri riders.

Ormai siamo alla fine, il percorso devia da quello che avevamo provato i giorni scorsi. Ad un certo punto c’è una scalinata: è pieno di pubblico, davanti a me il vuoto… Decido di giocarmi il tutto per tutto, la prendo a cannone! Pessima idea, decisamente una pessima idea… Entro alla cieca, non vedo cosa c’è sotto. Supero la prima rampa di scale in volo, atterro però nel pianerottolo. Fine corsa disumano, le braccia mi sembrano uscire dalle spalle per la botta… Rimbalzo, atterro sulla seconda rampa di scale… Controllo al limite la bici, alla fine delle scale intravedo una curva secca a destra con un muro davanti: è la fine! Non so come, ma in qualche modo riesco a rallentare e ad affrontare la curva senza morire, ma la gabbia del cambio per la botta si è danneggiata e la catena salta ad ogni pedalata. Speriamo arrivi fino alla fine!

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Ormai il traguardo è vicino, manca solo l’ultimo tratto di pianura. Do fondo a tutte le mie energie, superando ancora gli ultimi bikers che sono riuscito a riprendere. La vista si annebbia, sale la nausea ma continuo a spiengere finchè vedo che c’è gente da recuperare. Arriva il traguardo, finalmente…  Non so quanto avrei resistito ancora: la gara è finita.

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I riders arrivano stremati al traguardo…

Riaccendo il cervello, esco dalla modalità seek and destroy della gara: tutto sommato non ho fatto schifo, sono sceso molto bene ed ho sorpassato circa 130 persone. Non male direi!

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Il podio maschile. Ph by: Hannes Auer

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Il podio femminile: davvero tante le ragazze che hanno preso parte alla gara! Ph by: Hannes Auer

Doccia veloce in hotel, carichiamo il camper e partiamo. Durante le 5 ore di viaggio, per quanto stanchi, nessuno di noi dorme: l’adrenalina per la gara è ancora alta. Li per li mi dico “fatta una volta, non la faccio mai più! In salita sono morto ed in discesa mi sono giocato un intero mazzo di jolly, non so come ho fatto a non farmi” ma alla fine so per certo che l’anno prossimo, se ne avrò la possibilità, mi iscriverò di nuovo. Eh si, perchè come dicevo all’inizio, in ogni biker c’è sempre una vena autolesionistica e masochistica! D’altronde soffrire in salita e rischiare in discesa fa un po’parte del nostro sport!

 

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