[Test-Report] SRAM XX1 – Whistler “top of the World”

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Uno dei motivi che ci hanno spinto a organizzare questo viaggio a Whistler era la possibilità di provare su percorsi realmente selettivi il nuovo cambio XX1 di SRAM. Lo aveva già fatto in parte il diretur, QUI potete leggere la sua recensione. Abbiamo voluto ripetere tale prova per avere un riscontro da rider molto diversi tra loro (il diretur più allenato, io forse più salterino).

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Nel raccontarvi il giro che abbiamo percorso inserirò anche le impressioni di guida riguardo il nuovo cambio.
Intanto qualche curiosità sul gruppo. Per prima cosa appena entrato nello “SRAM pop up store” ho subito fatto notare a Simon (nostro referente per Sram) come sulla mia bici mancasse il guidacatena. Abituato alle bici da freeride e discesa e vedendo una corona sola montata sulla guarnitura mi è subito parso chiaro che lì mancasse un pezzo. La risposta del losco romanaccio è stata “non manca niente, aspetta e vedrai. Guarda lì, quella è la bici di Jerome Clements e ieri ci ha vinto la gara di enduro qui a Whistler, non ha avuto nessun problema”.
Un po’ titubante di tale spavalderia mi metto subito sulla difensiva e rispondo che in caso di caduta della catena sarò cattivissimo nell’articolo. Non sembrano comunque turbati.
La presentazione del gruppo l’avete già vista nell’articolo che vi ho linkato prima. Io son qui per darvi qualche curiosità extra.
Chris, product manager di SRAM, ci ha infatti introdotto questo gruppo spiegandoci un po’ quella che era la filosofia che aveva portato ad adottare una soluzione tecnica piuttosto che l’altra.
Per prima cosa siamo davanti all’evoluzione e semplificazione dei gruppi come l’X0, i così detti 2 X 10, cioè con doppia anteriore e 10 marce al posteriore. Semplificazione che Chris ci ha spiegato in modo simpatico facendo l’esempio di sua moglie che va a comprare il pane. Ci spiegava ridendo come la moglie non concepisse di avere così tanti comandi su un manubrio e presa dal panico tenesse alla fine sempre la stessa marcia, o al massimo cambiasse talvolta col posteriore. Con una mtb “da mercatone”, quante volte avrete visto fare incroci catena improbabili come 22-11 o simili. La gente del resto non si mette lì a cambiare davanti se ha ancora marce dietro da far andare.
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Proprio questa filosfia sta alla base del progetto e se posso permettermi è abbastanza geniale.
Del resto anche noi quando andiamo in salita spesso spingiamo la nostra corona media (sulle triple, la grande sulle doppie) andando ad utilizzare tutta la cassetta, per poi spostarci sulla corona piccola all’anteriore. Questa ci darà quindi una, due, massimo 3 marce extra da poter utilizzare in salita.
L’idea è che cambiando all’anteriore non ci si apre un nuovo mondo fatto di 9-10 marce tutte nuove da utilizzare, abbiamo semplicemente un bonus di qualche marcia molto leggera per le salite pesanti. Proprio su questo concetto hanno lavorato in Sram introducendo la corona da 42 nella cassetta posteriore.
Quindi semplificazione al primo posto. Con i recenti comandi al manubrio di blocchi di ammo e forcelle e, come nel caso della bici da me provata, del cannotto telescopico, trovo che avere un manettino solo sia davvero una manna dal cielo.
Qualcuno si chiederà perchè 11 marce e perchè non fare semplicemente una cassetta da 10 marce con corona da 42 da poter utilizzare con gli altri gruppi esistenti.
Ebbene la risposta è che il deragliatore posteriore è profondamente diverso da quelli in commercio fino ad ora. Dovendo cambiare gli standard tanto vale mettere una marcia in più e fornire meno gap tra un rapporto e l’altro. Detto-fatto.
I “cambi” posteriori che siamo abituati a vedere noi hanno un quadrilatero deformabile che funge da selettore del rapporto, andando a spostare in diagonale, lungo la cassetta, la prima delle due rotelle della gabbia. Tale rotella risulta essere praticamente coassiale con il perno su cui ruota la “gabbia”.
Nell’XX1 invece il quadrilatero è posto in posizione orizzontale, e la rotella è spostata dall’asse ed è proprio questa distanza che va a spostare in diagonale la prima rotellina in modo da segire il profilo obliquo della nostra cassetta e recuperare così la distanza dalle corone.
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Il perchè di tutto questo casino è facilmente comprensibile. I continui impulsi che vengono dati dal terreno alle ruote fanno sobbalzare i cambi con quadrilatero obliquo (che tende a chiudersi e in alcuni casi a far sgranare/cambiare marcia). Avete presente quel fastidioso rumore di catena e quegli sgranamenti che ogni tanto si presentano quando andiamo a pedalare su fondo molto sconnesso. Ecco questo cambio promette proprio di annullare questi inconvenienti (ed in effetti ci riesce). L’idea del quadrilatero orizzontale è nato nell’intento di creare un cambio da DH. Gli urti gravosi a cui viene sottoposto questo componente nelle discipline gravity aveva infatti spinto gli ingegneri di SRAM a ricercare una soluzione a tal proposito. L’aggiunta della frizione nella rotazione della gabbia completa il quadro donando alla nostra bicicletta una silenziosità mai vista. Inoltre sappiate che si può percepire negli urti più forti proprio l’inerzia di questa gabbia dotata di frizione. Si sente infatti il cambio muoversi dopo il carro. Sensazione niente affatto fastidiosa e che dà un idea di quanto davvero lavori questo sistema. Da laureando in ingegneria ed essendomi ormai calato nel ruolo di giornalista rompipalle chiedo dove vengano dissipate le energie che prima assorbiva il quadrilatero obliquo deformandosi. Prontamente Chris mi mostra come il nuovo XX1 sia decisamente più grosso nelle zone critiche rispetto ad un vecchio cambio. Questo spessore serve per assorbire tutte gli impulsi provenienti da terra, ma nello stesso tempo rende anche più rigido il sistema e lo rende più resistente ai colpi diretti sul deragliatore (caduta, sassi).
Questo Chris ha davvero una risposta pronta a tutto, ci provo anche con la gabbia lunga. Ipotizzo infatti che per andare a gestire un’escursione di corone così grossa al posteriore (10-42) serva una gabbia molto lunga, più incline a sbattere per terra in caso di terreno accidentato. Anche qui niente è lasciato al caso. La forma precedentemente descritta con la prima rotella molto disassata aiuta in questo frangente. Inoltre anche le rotelle sono prioritarie e più grosse del normale per evitare proprio l’inconveniente di avere una cassetta lunga (14 denti invece che 12).
Vediamo infine uno degli aspetti più incredibili di questo sistema. Il sistema catena e corona con denti alternati (uno sottile e uno spesso per combaciare perfettamente con i fori presenti sulla catena) per evitare la caduta. Per prima cosa fa ridere che questo sistema per evitare che la catena esca è stato ricavato da progetti studiati per biciclette da trekking.
Non mi sembra ancora vero ma funziona sul serio, e pure bene. Ho provato anche a cadere di faccia rotolando insieme alla bici per un po’ di metri (in foto) ma anche in quel caso la catena non si è spostata ed il gruppo è rimasto davvero preciso per tutto il tempo del giro.

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Ultima curiosità/dubbio che Chris ha saputo fugarmi in un istante riguardava il minor spessore (necessario per via degli spazi) della catena. Avevo paura che tale spessore andasse ad inficiare sulla vita della stessa. Mi è stato invece spiegato che le catene e le corone che utilizziamo normalmente hanno delle zone in cui viene asportato del materiale per facilitare la cambiata, come le corone con denti “storti”. Inoltre è noto come le catene siano resistentissime a trazione, ma veramente deboli a torsione. Nel momento in cui andiamo a cambiare all’anteriore lo facciamo nella parte alta della catena, cioè quella sotto sforzo in caso di pedalata (al contrario al posteriore la cambiata avviene nella zona di catena in cui non troviamo carico).
Proprio la variazione del rapporto anteriore induce quindi delle pieghe e dei piccoli giochi nelle catene. Evitando questo processo sono stati in grado di realizzare una catena altrettanto performante in trazione, nonostante la dimensione minore. Inoltre è stato visto come la vita della catena, e quindi dell’impianto, aumenti enormemente con questo gruppo.
Quindi anche su questo punto non posso più dirgli niente.
Ok accetto la sconfitta e mi preparo al giro!!

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Il tracciato incriminato parte dalla cima più estrema della montagna che sovrasta Whistler. Non siamo ad altitudini da affanno, ma la vista è qualcosa di incredibile. Per raggiungere questo terrazzamento in quota bisogna prendere la “gondola” (la cabinovia) in paese, in seguito spingere la bici per pochi minuti e recuperare una seggiovia detta “to the peak” (fantasia a manetta!), aperta ai pedoni da sempre, alle bici solo da quest’anno ( inoltre serve un biglietto apposito).
Salendo la natura intorno a noi si fa più aspra, spariscono le conifere tipiche della parte bassa della montagna e si iniziano a vedere banchi di neve che resistono al caldo estivo.
Raggiunto l’apice dell’impianto vi è una sorta di piazzetta con tanto di parapetto in legno per evitare che qualche estremista cada dai ripidi pendii. Da qui come dicevo la vista è stupenda. Si vedono perfettamente i laghi che circondano Whistler, il paese, e tutta la vallata. Si scorgono inoltre a perdita d’occhio altre cime delle “Rocky mountains”.
Prima di partire nella discesa /salita voglio presentarvi la crew.
Al comando in veste di guida e uomo immagine troviamo Tyler Morland. Per chi non lo sapesse è una vecchia guardia della dh e del freeride. Un rider che impensieriva Sam Hill e Steve Smith nel video Season. Un mostro sacro insomma. Essendo anche del posto conosce ogni pendio qui intorno come le proprie tasche e ha contribuito a tracciare numerosi single track. A seguire troviamo Chris Hilton, a capo del progetto XX1 in sram. Oltre ad essere un tipo simpatico con la risposta pronta come detto, è anche un fulmine in bici. A seguire Simon Cittati, PR Sram per l’Europa, che conoscerete meglio in una intervista che apparirà a breve su questi schermi. Con noi viene nche il fotografo di SRAM, Martin, un ragazzone tutto tatuato molto rapido a scattare. Poi troviamo Mike Levi, inviato di Pink Bike. Infine io, inviato di Mtb-Forum.it (non per tirarcela ma siamo stati gli unici due “media” a fare questo giro!).

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La crew era quindi bene assortita e pronta a fare fuoco e fiamme. La bici su cui hanno montato il gruppo era una Trek Slash con cui mi sono trovato bene. Avrei volentieri cambiato l’attacco manubrio con uno più corto ma il mio essere timido mi ha inibito nella richiesta (per altro essendo Truvativ del gruppo sram, sarebbe stata esaudita senza alcuna difficoltà). Comunque la bici era ottima per provare il nuovo cambio, performante in discesa e ben pedalabile in salita, anche sul tecnico. Una nota sul regisella telescopico Reverb. Che comodità incredibile. Devo dire che ormai mi risulta difficile pensare di prendere una bici per pedalare senza questo accessorio.
Torniamo al giro. Dopo aver fatto qualche foto in quota partiamo su un single track esposto e sdrucciolevole. Risulta quasi difficile concentrarsi sulla guida con questi panorami e l’emozione per questa avventura che sto vivendo. Ad ogni modo mi prendo qualche metro di discesa e qualche curva per capire la bicicletta. Tutto fila liscio, prendo confidenza con freni e gomme e sono ok. Ancora qualche foto su questo terreno duro e friabile allo stesso tempo e via di nuovo in discesa. Già da qui il percorso è ottimo per testare un cambio perchè necessita di continui rilanci. L’XX1 non da segni di cedimento e risulta sempre fluido e perfettamente funzionante.

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Anche gli scaloni e le pietre che passano sotto le ruote vengono assorbite dal mio corpo e dalla bici silenziosamente. Forse qui è proprio il silenzio inaspettato ad attirare la mia attenzione. Abituato alla mia front da enduro montata con pezzi di recupero mi sarei aspettato di sentir sbattere la catena ovunque, anche sugli steli della forcella se possibile. E invece tutto si muove come se sotto di noi il terreno cullasse i movimenti dei rotismi di cambio e bici. Come se tutto fosse ovattato. Figata!
Scendendo man mano su questo percorso arriviamo finalmente ad incontrare i primi alberi, che segnano l’inizio dei single track davvero tecnici nel bosco. Qui non c’è niente di costruito. Il sentiero è davvero tecnico ma completamente naturale e poco battuto. Vedendo proprio la traccia appena accennata chiedo a Tyler se questo sia un sentiero nuovo. Mi spiega che è uno dei più vecchi di Whistler, uno dei sentieri che lui, e gli altri pionieri, percorrevano a ripetizione già 15 anni fa. L’avvento del bike park e delle strutture nella parte bassa ha distolto l’attenzione da questi percorsi naturali. Meglio per noi che ce lo possiamo godere senza trovarlo scavato o senza dover far fronte al passaggio di mille persone quando ci fermiamo a far foto.
Non ricordo il nome del percorso, ma fosse per me lo chiamerei Mosquitos! Penso di non essere mai stato punto da tante zanzare, tafani, insetti di vario tipo.
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Il single track si sviluppa nel bosco e se devo essere onesto nella parte alta non si discosta molto da quelli che potremmo trovare sulle nostre montagne. Quindi fighissimo. Dopo settimane, anni di sponde e salti, avere sotto di me del terreno quasi vergine è davvero una bella sensazione e mi fa tornare a quando iniziavo ad andare in bici 10 anni fa. I ragazzi di SRAM hanno ragionato davvero bene sulle caratteristiche del percorso da farci fare. Spesso ci sono da fare rilanci per piccole salite (alcune addirittura da fare a spinta), e soprattutto in molti passaggi siamo in mezzo a rocce o ad alberi e ceppi. Forse volevano farci provare la resistenza del deragliatore posteriore in caso di urto. Abituato però a stare attento anche a questo aspetto non ho mai toccato niente. Indice di una guida pulita, ma anche di una lunghezza della cassetta adatta ad ogni utilizzo.
Nei rilanci e dopo le compressioni discesa-salita il cambio risulta sempre pronto. Mi piace molto anche il fatto di avere un solo manettino a gestire tutto. L’avevo già detto ma è veramente bello non dover pensare a mettere il rampichino all’anteriore e poi ricordarsi di rimettere la grande una volta iniziata la discesa. Inoltre il manettino dell’xx1 permette di cambiare 5 marce alla volta in scalata e 4 in salita. In pratica con un movimento del pollice si trova quasi sicuramente la marcia giusta.
I su e giù su sentiero stretto e tortuoso continuano fino a che non arriviamo su una strada bianca. Con la scusa di voler fare delle foto in cima a questa strada Tyler ci tira su in salita. Ecco il test su salite “lunghe”. Se prima infatti pedalavamo al massimo 30 secondi per strappetti tecnici qui saliamo pedalando circa 10 minuti.
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La strada non è in falsopiano, è proprio in salita. Anche qui sinceramente non sento il bisogno di avere una marcia ancora più leggera. Il 32 – 42 risulta adeguato a pedalare a lungo, e man mano che la gamba si scalda (e quando la salita molla un po’) anche il 32-36 basta e avanza.
Arrivati in cima scopro, come immaginavo, che quella fosse solo una scusa per farci pedalare la bici su un tratto scorrevole e per qualche minuto, ne approfitto per farci fare una foto ricordo con Simon, l’altro italiano presente.
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Torniamo quindi giù un pezzo per la strada bianca fino a che non incontriamo nuovamente il sentiero. Qui mi spiega Tyler che le cose iniziano a farsi un po’ più complicate. Il sentiero diventa sempre più ripido e tecnico, con continui cambi di ritmo e piccole salite da rilanciare. Dovendo testare il cambio mi concentro su quello e provo a cambiare anche sotto sforzo, a cambiare mille marce in un secondo. Stresso un po’ il pezzo insomma ma il risultato è sempre ottimo. La cambiata continua a essere precisa e trovo sempre con facilità la marcia che serve a me.
Arriviamo poi in una radura in mezzo alla montagna dove ci fermiamo per mangiare un frutto e bere qualcosa (siamo già in bici da un paio d’ore ormai). Anche da qui la vista è davvero bella, e visto che si mettono a parlare di orsi e del fatto che il burro di noccioline e altri alimenti umani li attiri notevolmente inizio a preoccuparmi leggermente per la lunga sosta che stiamo facendo.
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Poco dopo essere ripartiti iniziamo a percorrere un sentiero che sembra essere più lavorato. Tyler ci spiega di non essere irruenti nella guida perchè a breve dovremo fermarci per affrontare a piedi un ostacolo abbastanza arduo. Si tratta di un pietrone tondo, tipico di queste zone, che butta su un sentiero largo mezzo metro in contropendenza. Lui dice di non averlo mai fatto ma che alcuni ragazzi del posto sono riusciti a “raidarlo”. Noi molto tranquillamente ci fermiamo e facendo tipo catena umana caliamo le bici e scendiamo con l’aiuto di una corda dai resti di una piccola frana di fianco a questo bestione. Sinceramente vista la difficoltà con cui stavo appeso all’unico alberello presente accanto al pietrone, per passare le bici a Tyler sotto allo stesso, mi risulta difficile pensare di affrontare quell’ostacolo in sella. Comunque di gente matta in Canada ce n’è a bizzeffe quindi non indago oltre e prendo i racconti per buoni.
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Ancora ripidoni e ancora rilanci. Qui non molla un attimo e devo dire che questo sentiero è veramente divertente ma anche veramente selettivo. Senza respiro si passa da dover spingere sui pedali a dover arretrare per non cappottare in avanti. Senza preavviso usciamo dalla foresta. Mentre guido concentrandomi sulle linee da fare vedo proprio la luce e mi rendo conto di essere apena uscito dall’enorme bosco di Conifere in cui ero immerso. Altro piccolo strappo per salire su una altura più avanti e ci fermiamo per l’ennesima pausa. Girandomi scopro di essere in un luogo da cui posso vedere tutti i terreni su cui abbiamo messo le ruote oggi. Vedo la vetta e vedo il bosco in cui sono entrato e da cui sono appena uscito. Sono in bici da ore e ho fatto veramente tanti metri di dislivello (più in discesa che in salita ovviamente). La cosa bellissima però è che ancora non è finito.
Iniziamo anzi una zona ancor più lavorata, che inizia con passerelle (ormai invase dal fango) e che continua con un serpentone molto veloce con piccoli spunti per saltare. Sul veloce il 32-10 fa il suo lavoro. Sopra una certa velocità bisogna un po’ frullare ma va bene così. Anche i salti non danno problemi alla catena che rimane al suo posto e rende sempre pronto al rilancio il mezzo.
Siamo ormai bassi, saremo circa a 500 metri slm, cioè all’altezza del paese. Ma noi dobbiamo scendere ancora un po’. Qui il sottobosco si infittisce e la natura lascia più spazio alle costruzioni. Sentiamo le strade vicine, vediamo edifici a poche centinaia di metri in linea d’aria. Ma siamo ancora nel bosco. Per finire il giro quindi non c’è niente di meglio di qualche salitella tecnica su rocce. Le famose rocce tonde canadesi di cui vi parlo da settimane. Il grip che offre questo tipo di pietra è incredibile e permette di salire in posti dove, abituato a girare su terra battuta o peggio brecciolino, mai avrei pensato di poter salire. C’erano serpentine ripidissime tracciate su queste rocce. Il primo pensiero è stato la perdita di grip al posteriore, assente. Il secondo è stato il ribaltamento, contrastato buttandomi in avanti sul manubrio. In tutto questo mi ero scordato del cambio, pensavo solo ad andare su e sinceramente non ho trovato nessun difficoltà nel farlo col rapporto minimo che avevo, 32-42 appunto. Dovevo spingere sui pedali, questo è certo, ma non ho mai avuto la sensazione di non riuscire a tirare tale rapporto o di avere bisogno di un rapporto ancora più leggero.
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Dopo qualche altro strappo e qualche altra discesa su questo terreno siamo usciti in strada, sulla strada che collega Whistler a Vancouver. Solo allora mi sono reso conto di aver fatto più di 2000 metri di dislivello in discesa, e non so quanti km in sella. Un giro enduro veramente “epico” dal mio punto di vista. La sensazione di stare in bici per 4 ore filate (di cui al massimo mezz’ora di salita) sui sentieri dei pionieri dell’attuale freeride mi ha veramente colpito piacevolmente. Ora ho un tassello in più nella conoscenza del mondo bici. Forse è un po’ quel motivo e quel piacere che si ha nello studiare la storia del proprio paese a scuola. Sapere cosa facevano i propri antenati e come vivessero. Qui si tratta della storia della bici e nel percorrere quei sentieri mi sentivo un archeologo alla ricerca di un antico reperto. Con la sola differenza che invece che spazzolare il terreno alla ricerca di un osso mi stavo divertendo come un matto in sella ad una bici nuova fiammante.

Tirando le somme. XX1 promosso a pieni voti. Lo monterei istantaneamente su qualunque mia bici da pedalare, fosse xc o enduro. Penso inoltre che cambiando le corone all’anteriore in base al proprio allenamento (es inizio stagione 28 poi 32 poi se proprio uno è allenato 34-36) si possa avere sempre una gamma di rapporti adatti alla propria guida e al proprio riding.
Non mi è mai uscita la catena, ma vorrei ancora provarlo su questo frangente. L’ideale sarebbe provarlo sulla mia front che non è così gentile nell’assorbire gli urti provenienti dal terreno (in realtà è tutta una scusa per farmene mandare uno da Simon per la bici da enduro!).
Infine che dire del giro. Uno spettacolo. Un giro pedalato davvero lungo e che non mollava mai. 2000 m di dislivello in discesa e 4 ore di goduria con compagni di viaggio di vero spessore.
La ciliegina sulla torta. Guardate i ragazzi di SRAM con che mezzo son venuti a recuperarci a fondovalle per riportarci in centro a Whistler!!!

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Jack

Alcune risposte alle vostre domande:

per quanto riguarda la corona. Anche lo standard di aggancio sulle pedivelle è prioritario. Questo significa che per montare corone XX1 ci vanno pedivelle XX1. Infatti l’aggancio è stato studiato apposta per poterle cambiare velocemente, senza dover smontare la pedivella dal telaio anche in caso si volesse usare il 28.

Infine per chi mi ha chiesto della lunghezza della catena. facile, man mano che aumenti la dimensione della corona aumenti la lunghezza della catena.

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