Ortles Ronda (primo giorno)

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Tutto ha inizio 15 anni fa, avevo appena iniziato ad andare in bicicletta (da corsa), ma già mi piaceva esplorare luoghi sconosciuti.



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Giovedì 2 agosto 2001 ore 5.20 parto per la più grande impresa dell’anno. Per mesi ho pianificato accuratamente l’ uscita, controllando chilometraggi e curve di livello: il giro dell’ Ortles partendo dalla mia città, Merano e scalando nell’ ordine Stelvio, Gavia, Tonale e Palade, il tutto per 250 km. e 5500 m. di dislivello.

Questo giro dell’Ortles, che mi sono inventato all’inizio della mia “carriera” di ciclista, è diventato poi un classico, il Tour d’Ortles, per merito dell’amico Giancarlo Concin dell’Athletic club Merano, che organizza questa randonnè internazionale ormai da molti anni.

Passato qualche anno inizio ad andare in mountain bike, ed è allora quasi normale che il giro dell’Ortles su strada si debba trasformare nel tour d’Ortles off road. Naturalmente il giro è molto più lungo e impegnativo, e non si può certo concludere in un giorno, ma stimo almeno in tre giorni. Tempo che fra lavoro e famiglia non riesco mai a prendermi, perciò il progetto è accantonato per parecchi anni.

Ma la pazienza è la virtù dei forti, ed ecco che con il passare degli anni i figli crescono, il lavoro cambia e ho la possibilità di partire per realizzare questo mio sogno. Il percorso è studiato, sono 100 km e 5400 metri di dislivello quasi tutti fuoristrada, anche se il giro presenta qualche problema: uno è rappresentato dai 1800 metri di dislivello di portage, ma per fortuna i giri che prevedono il dover portare la bici in spalla anche per diverse ore non mi hanno mai spaventato. Il secondo è il passaggio sul ghiacciaio della Vedretta Lunga del Cevedale con i suoi crepacci sotto il rifugio Casati, ma telefono al gestore del rifugio che mi rassicura e mi dice che si può passare. Il terzo problema è rappresentato dalla salita al passo dell’Ables, vengo a sapere che gli ultimi 300 metri di dislivello della strada militare sono franati, ma sembra che si possa passare lo stesso.

Stimo cosi che il giro si possa fare in due giorni. Rimane da trovare un periodo di tempo stabile, visto che il giro prevede di valicare 4 passi oltre i 3000 metri, il Madriccio, il Cevedale, il passo Zebrù e il passo dell’Ables, oltre al Tibet trail, a 2840 metri proprio sopra il passo Stelvio.

A inizio settembre le previsioni danno una finestra di due giorni di alta pressione, all’ultimo si aggiunge anche l’amico Filippo, prenoto due posti al rifugio Pizzini, riempiamo gli zaini con l’occorrente per due giorni e una notte e a nanna!

Alle 7.25 puntualissimi scarichiamo le bici al paese di Gomagoi, 1250 m, e partiamo verso il primo passo della giornata, il Madriccio a 3123 m, una lunghissima e impegnativa salita di 1900 metri di dislivello. Appena usciti dalla galleria verso Solda ci appare Lui, il re Ortles, con i suoi 3905 metri la cima più alta del Tirolo, proprio quella che dovremo circumnavigare in senso orario per due giorni.

In breve arriviamo a Solda, da qui basta asfalto. Avviso Filippo che io ho intenzione di fare tutto il giro con le mie forze, ma se lui preferisce può prendere senza problemi la funivia e risparmiare cosi 700 metri di dislivello. Anche perché la sterrata che sale sotto la funivia è molto, molto ripida. L’amico decide, e fa bene, di risparmiare un po’ di forze, visto che la giornata sarà lunga. L’importante è conoscersi e non sopravvalutarsi, quando si tratta di affrontare giri lunghi come questi.

In questo caso io preferisco pedalare anche perché, a quanto mi risulta, nessuno ha ancora mai fatto questo giro in due giorni senza aiuti esterni e la sfida, lo sapete, mi affascina! Salita durissima, al limite, ma lo spettacolo dell’Ortles lascia a bocca aperta.

Mi sento piuttosto in forma e in un’oretta arrivo alla stazione a monte della funivia, dove Filippo mi sta aspettando. Riposo un attimo, mangiamo un panino e ripartiamo per gli ultimi 500 metri di dislivello fino al passo.

La prima parte, fino al rifugio Madriccio, è ripida ma pedalabile.

Il panorama si apre adesso anche sul Gran Zebrù, creando uno scenario da favola.

La strada si fa sempre più ripida e sconnessa, ma voglio cercare di arrivare fino al passo pedalando quasi tutto il dislivello, anche grazie al grande grip delle mie gommone.

Eccomi quasi in cima, l’ultimo sforzo e sono ai 3123 metri del Madriccio, quest’anno i nevai sono tutti sciolti e sono riuscito a non scendere di sella all’infuori di circa 50 metri.

Grande soddisfazione anche per l’amico Filippo che ha pedalato gran parte della salita.

Il primo 3000 è conquistato, mangiamo qualcosa, ammiriamo il fantastico panorama e adesso bisogna scendere fino al rifugio Corsi a 2256 metri.

La parte più impegnativa sono i primi 30 metri sotto il passo ripidi e tecnici, ma ho una bici che dà tanta sicurezza e mi butto sul sentiero, fra lo stupore generale dei biker tedeschi, che dopo aver spinto in salita, camminano anche in discesa.

La discesa è lunghissima, divertente, e alterna parti rocciose

a parti più scorrevoli nel verde dei prati di montagna ma sempre con panorami bellissimi.

Continuiamo a scendere, e quando sembra di essere quasi arrivati ecco ancora dei tratti tecnici.

Ecco la in fondo il rifugio Corsi, mentre a sinistra si scende per la val Martello.

Arriviamo al rifugio, abbiamo con noi anche panini e barrette, ma la giornata è ancora lunga e ci vuole qualcosa di sostanzioso prima di continuare. Un bel piatto di pasta e una birra sono l’ideale per reintegrare!

Abbiamo fatto quasi 2000 metri sui 3000 di dislivello in programma per oggi, ma mentre mangiamo avverto Filippo di non rilassarsi troppo, perché la parte più impegnativa deve ancora arrivare, ci aspettano infatti circa 700 metri di dislivello con la bici in spalla e il temibile passaggio sul ghiacciaio del Cevedale!

Rifocillati e riposati ripartiamo verso le 14 alla volta del Cevedale, prevedendo di arrivare al passo verso le 17. Superiamo un primo breve tratto con la bici in spalla e possiamo ricominciare a pedalare.

Il sentiero sale inizialmente non troppo ripido e abbastanza liscio, ne approfittiamo perciò per pedalare il più possibile, immaginando quello che ci aspetta più avanti.

La valle è splendida, con moltissime cascate che scendono con grande fragore.

Ogni tanto un piccolo strappo da fare in portage, e alla fine di uno di questi ci appare lo spettacolo del ghiacciaio del Cevedale, e lassù in cima, piccolissimo, il rifugio Casati.

Cominciamo ad avere qualche dubbio sui tempi prefissati, ma continuiamo mentre il verde finisce e rimangono solo le rocce e il ghiaccio a farci compagnia.

Passiamo a lato di un piccolo ma stupendo laghetto glaciale, perfettamente trasparente.

Ancora un tratto di portage e ci riposiamo un attimo, mangiamo un panino prima di arrivare sul ghiacciaio. Cominciamo ad essere un po’ stanchi.

Ci mettiamo la bici in spalla e li resterà fino al passo, il rifugio è lassù ma è ancora lontano.

Il sentiero è segnalato molto male, abbiamo i gps con le mappe, il problema è che i gps sono sulla bici in spalla e ad un certo punto sbagliamo strada seguendo quella che sembra una traccia. Ci troviamo su una lingua di ghiaccio molto scivolosa, siamo senza ramponi e passiamo una mezz’ora di tensione per tornare sulla giusta traccia. Eccoci sul ghiacciaio. Seguiamo le orme delle poche persone che sono passate prima di noi. La neve è piuttosto umida e ben presto abbiamo i piedi bagnati.

Ogni tanto si passa sul ghiaccio che per fortuna è sporco e perciò non si scivola. Vediamo qualche crepaccio, ma di dimensioni minime. La salita è piuttosto lenta e sono ormai le 18. Saremmo già dovuti essere al rifugio Pizzini. Pazienza, passo dopo passo arriveremo in cima.

Alle 18.30 siamo al rifugio Casati a 3254 metri. Il cielo si è coperto, soffia un vento freddo e siamo piuttosto provati, anche dalla tensione oltre che dalla stanchezza. La faccia di Filippo dice tutto.

Al riparo ci cambiamo per l’ultima discesa, miracolosamente trovo un minimo di campo per il cellulare e riesco ad avvertire il gestore del rifugio Pizzini che stiamo arrivando e di aspettarci per la cena. Siamo un po’ tesi e abbiamo fretta, cosi ci dimentichiamo della foto di rito ai 3260 metri del passo Cevedale, pensare che è il secondo posto più alto che raggiungo in bici, dopo i 3300 metri della cima dell’Etna. La prima parte della discesa è molto lenta, per lo più a piedi, perché il sentiero presenta molte parti franate. Solo dopo una decina di minuti riusciamo a restare in sella.

Più ci si abbassa di quota e più il sentiero comincia ad essere divertente e scorrevole, il rifugio Pizzini è la in fondo.

Al passo ci siamo anche dimenticati di mangiare e siamo piuttosto affamati, oltre che stanchi e con le scarpe bagnate. Alle 19.30 arriviamo al rifugio e il gestore ci fa spogliare nella cantina ben riscaldata. Ci cambiamo in fretta e in meno che non si dica siamo in sala da pranzo, dove ci viziano con primo, secondo, contorni in abbondanza e dolce. La birra naturalmente non può mancare. Due parole con il simpatico gestore, gli spieghiamo il nostro giro e mi informo sul sentiero del passo dell’Ables. Franato ma si passa ed è molto bello! Rinfrancati da queste parole prendiamo possesso della camera, rinunciamo alla doccia perché siamo troppo stanchi e alle 22 ci tuffiamo sotto il piumino. La notte sarà però un lungo dormiveglia, un pò per l’adrenalina della giornata, un po’ per l’alta quota, siamo infatti a 2730 metri e il battito cardiaco è nettamente accelerato. Pazienza, basta riposare, domani è un altro giorno.

(Continua)

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